Categorie: Società

Mai più medici-boia

Rifiutarsi di prestare qualunque tipo di assistenza nelle esecuzioni capitali. E’ l’unico comportamento deontologicamento corretto che ogni medico dovrebbe tenere di fronte a un’eventuale chiamata del boia.  L’editoriale del New England Journal of Medicine, pubblicato lo scorso 7 gennaio, lo dice senza mezzi termini: il giuramento di Ippocrate è incompatibile con qualunque prestazione nelle stanze della morte. Ecco perché hanno fatto bene, si legge nell’articolo, a incrociare le braccia i due anestesisti convocati  nel 2006 dallo Stato della California per rendere indolore l’iniezione letale di Michael Morales, un condannato per omicidio.

La loro astensione determinò la sospensione di quell’esecuzione e aprì un vivace dibattito nell’opinione pubblica americana sulla pena di morte, il metodo adottato per eseguirla e il coinvolgimento del personale sanitario nelle procedure che conducono alla soppressione del condannato. Un dibattito ancora in pieno svolgimento, come ci ricorda l’editoriale della prestigiosa rivista inglese che ne riassume le questioni salienti. A partire dalla legittimità dell’iniezione letale, il metodo più diffuso di esecuzione capitale (adottato in 36 Stati su 37), su cui entro luglio si dovrà pronunciare la Corte Suprema. In discussione è la compatibilità del metodo con l’ottavo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che proibisce il ricorso a punizioni crudeli e inusuali.

Finito sotto accusa a fine settembre per volere di un avvocato del Kentuky, che difendeva due condannati a morte, il  mix letale delle tre sostanze (sodio tipentale, bromuro di pancoronium, cloruro di potassio) non sembra infatti in grado di garantire una morte dignitosa e indolore. C’è il fondato sospetto che il condannato non sia in grado di esprimere le proprie sofferenze perché completamente paralizzato in seguito all’iniezione del bromuro di pancoronium, la sostanza somministrata dopo il barbiturico (che stordisce) e prima del cloruro di potassio (che provoca l’arresto cardiaco). Da allora, in attesa della decisione della Corte, negli Stati Uniti è in vigore una moratoria de facto che ha permesso di raggiungere il numero minimo di 42 esecuzioni nel 2007, il dato più basso dal 1998.

Ma l’editoriale del New England Journal of Medicine, uscito in contemporanea alla coraggiosa presa di posizione del Washington Post contro la pena di morte, ha uno scopo ben preciso: invitare tutte le associazioni di categoria a impedire in ogni modo il coinvolgimento dei medici e del personale sanitario nelle esecuzioni capitali. L’appello nasce dal timore che i nove giudici di Washington possano risolvere la complessa questione stabilendo di reclutare personale specializzato
per gli standard minimi richiesti. “Possiamo permettere che ciò accada?”, si chiedono gli autori dell’articolo. La risposta è un secco e inequivocabile “No”.

Il 23 gennaio prossimo sarà possibile seguire una tavola rotonda on line dal titolo “Medici ed esecuzione” sul sito del giornale. (g.d.o)

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