Ce ne accorgiamo solo d’estate, ma ormai sulle nostre spiagge – arenili, scogliere, e soprattutto insenature – si trovano più pezzi di plastica che cozze patelle e conchiglie. O quanto meno la loro presenza è più evidente, e sempre più “integrata” nel paesaggio (e nei suoi abitanti) come dimostra anche la scoperta del plasticrust. La maggior parte dei bagnanti fa finta di nulla (o ci prova), limitandosi a scansare il “rifiuto” o a seppellirlo sotto la sabbia, ma c’è anche chi non si rassegna e fa quel che può per toglierli dalla circolazione, non solo dalla propria vista, rastrellando bottiglie, bicchieri, cannucce, tappi, buste, pezzi di polistirolo, brandelli di reti e retine, elastici dei capelli, pezzi di giocattoli… e via dicendo per riempire bustoni che, a fine giornata, si porterà via, per smaltirli correttamente. E’ un po’ come vuotare il mare con un secchio, perché spesso basta una domenica o una mareggiata per ritornare daccapo. Per rendere meno effimero e più fruttuoso l’impegno civile di tanti bagnanti “trashbuster”, Greenpeace ha riattivato Plastic Radar: un servizio whatsapp per segnalare la presenza di rifiuti di plastica in mare, da quest’anno attivo anche per fiumi e laghi, e poterne tracciare la provenienza. Ma soprattutto per “accendere i riflettori”, per dirla con le parole di Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, “su una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi”.
Per partecipare all’iniziativa basta scattare una foto del rifiuto, in modo chiaro così che sia possibile riconoscerne il tipo e l’utilizzo ed eventualmente anche l’azienda produttrice, e inviare l’immagine e le coordinate geografiche al numero +39 342 3711267. Nel giro di 48 ore i dati saranno disponibili sul sito dedicato all’iniziativa, contribuendo così a quella che è una vera e propria indagine collettiva, spiegano da Greenpeace. Lo scopo è quello di capire quali sono gli oggetti che più inquinano i mari, i laghi e i fiumi e identificare le aree più a rischio, nonché di risalire alle aziende che utilizzano di più la plastica monouso (neanche a dirlo, l’invito in parallelo è quello di raccogliere e smaltire opportunatamente i rifiuti segnalati). Di recente Greenpeace ha lanciato anche una petizione per chiedere la riduzione dei contenitori monouso, rivolta proprio alle grandi aziende che producono imballaggi e confezioni per cibi, prodotti di igiene per la casa e personale.
Che la plastica usa e getta sia un problema, e grosso, per i rifiuti in mare, sono gli stessi dati raccolti nella scorsa edizione dei Plastic Radar a dirlo. Oltre il 90% tra i quasi 7000 mappati nel 2018 erano oggetti usa e getta: per lo più bottiglie per acqua e bevande, confezioni per alimenti, frammenti, sacchetti di plastica. La plastica monousa svetta in cima alla classifica dei rifiuti più frequenti in spiaggia anche secondo le attività di monitoraggio dei volontari dell’associazione ambientalista Gre (Gruppi di ricerca ecologica) Lazio, seguiti dai rifiuti della mitilicoltura e dalle scarpe.
Anche Legambiente partecipa alla mappatura dei rifiuti (plastiche comprese), con l’iniziativa Vele Spiegate: saranno 600 i volontari in viaggio a vela durante l’estate per monitorare e raccogliere rifiuti galleggianti e spiaggiati. Campania, Toscana e Golfo di Corinto, in Grecia, le aree interessate da Vele Spiegate.
(Credits immagine: Marina Bidetti)
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Plastic radar non serve a pulire il mare, è solo un modo molto furbo per Greenpeace di procurarsi senza sforzo documenti fotografici per la propria lotta integralista "alle multinazionali", come se fossero solo coca cola e Nestlé a usare la plastica!
Magari si trovassero solo lattine di coca cola... Io di solito, come nella foto, trovo montagne di retine per l'allevamento delle cozze e cassette di polistirolo... Comunque è una campagna di sensibilizzazione, sperando nell'effetto pecora...