Gli Usa hanno iniziato ad aprile, eliminando l’obbligo di mascherina all’aperto per i cittadini che hanno completato il ciclo vaccinale contro Covid-19, per poi abolirlo (salvo decisioni differenti a livello dei singoli stati federali) per tutti i viaggiatori che si trovino a sostare o trasnitare in aree all’aperto. Ora, con i casi in caduta libera ormai da diverse settimane, anche l’Europa sembra pronta al grande passo. In Francia il 15 giugno è arrivato a sorpresa l’annuncio del premier Jean Castex, che ha abolito l’obbligo di mascherina all’aperto e annunciato la fine anticipata del coprifuoco. In Germania il ministro della salute ha annunciato pubblicamente di ritenere ormai inutile l’obbligo di mascherina, se non al chiuso e in situazioni in cui è impossibile evitare assembramenti. Simile la posizione della Spagna, della Danimarca (che ha già eliminato molte restrizioni nelle ultime settimane), e anche del nostro paese: è di ieri l’annuncio del nostro ministero della Salute, che con molta più cautela dei vicini ha fissato informalmente al prossimo 15 luglio la data in cui le mascherine all’aperto cesseranno di essere obbligatorie, se non in situazioni a rischio. Cautele comprensibili, o eccesso di premure? Impossibile a dirsi, almeno sul piano scientifico, perché gli studi disponibili sul tema sono pochissimi e non forniscono risposte definitive.
A fare un punto è un editoriale pubblicato dal British Medical Journal lo scorso 28 aprile, in cui due gruppi di esperti erano stati chiamati a dire la propria sull’efficacia delle mascherine all’aperto. A favore dell’obbligo troviamo citati principalmente studi che evidenziano la maggiore propensione al rispetto delle norme anti Covid-19 nei paesi in cui l’utilizzo di mascherine è stato reso obbligatorio anche all’aria aperta. Uno dei casi più studiati è quello dello Sturgis Motorcycle Rally, un ritrovo annuale di motociclisti che si tiene ogni anno nel Dakota del Sud, e che la scorsa estate ha visto scoppiare un drammatico focolaio di Covid-19. Uno studio che ha analizzato la diffusione del virus nelle settimane seguenti al raduno ha concluso che il maggiore influsso di nuovi casi legati al focolaio del Dakota del Sud è avvenuto negli stati americani in cui all’epoca le autorità avevano posto meno enfasi sull’utilizzo delle mascherine. A dimostrare che, se anche le mascherine all’aperto non avessero un effetto apprezzabile sulla riduzione dei contagi di per sé, aiutano a spingere la popolazione al rispetto delle misure di prevenzione, e questo si traduce, indirettamente, in una minore circolazione del virus Sars-Cov-2. Risultati simili arrivano anche da altre ricerche, che hanno dimostrato per esempio che esiste una correlazione tra obbligo di mascherina e impatto della pandemia sulla popolazione, e che gli stati che hanno imposto più precocemente l’utilizzo delle mascherine all’aperto hanno visto anche venir accettate più velocemente le altre norme di prevenzione, come il distanziamento, il lavaggio delle mani e così via.
Coronavirus, quanto si rischia all’aperto?
A fianco di queste considerazioni, bisogna valutare anche gli effettivi rischi di contagio che corriamo all’aperto. I dati disponibili dicono che le probabilità di infezione all’aria aperta sono inferiori dalle 4 alle 20 volte rispetto a quanto avviene al chiuso. Al contempo, solo il 10% delle infezioni di cui è nota la catena di contagio è avvenuta all’aperto, e nei casi noti si tratta quasi sempre di interazioni prolungate, e non un fugace saluto o un contagio avvenuto dal semplice contatto con un passante. Nessuno degli eventi di superspreading conosciuti inoltre è mai avvenuto in un evento svoltosi unicamente all’aperto: anche nel caso dello dello Sturgis Motorcycle Rally, le analisi disponibili puntano ai luoghi chiusi, come bar e ristoranti, come principali focolai di contagio.
Cosa ci dice tutto ciò? Che i contagi all’aperto sono possibili, ma molto rari persino nei periodi in cui il virus circola fuori controllo, e diventano probabilmente quasi inesistenti quando l’epidemia rallenta, le vaccinazioni iniziano a essere diffuse e il caldo estivo fa la sua parte. Togliersi le mascherine avrebbe quindi un valore prevalentemente simbolico, che può essere considerato positivo, o negativo, in base alle proprie convinzioni personali: un simbolo di ritorno alla normalità, o piuttosto un pericoloso liberi tutti che potrebbe far dimenticare le cautele al chiuso e in altre situazioni pericolose. Va detto comunque che il cambiamento discusso dal ministero della Salute per il prossimo 15 luglio è anche di difficile interpretazione, perché le indiscrezioni parlano di un abbandono delle mascherine in condizioni in cui è possibile garantire il rispetto delle distanze di sicurezza, norma che (per quanto è dato capire nel groviglio di Dpcm dell’ultimo anno) non sembra sostanzialmente diversa da quella attualmente in vigore.
Bisognerà chiaramente fare i conti anche con un altro aspetto delle mascherine: quello sociale. Non si tratta di una misura completamente indolore (perché le mascherine hanno un costo, se pur contenuto, e sono una fonte crescente di inquinamento), ma molti cittadini le vedono ancora come un elemento tranquillizzante, e hanno difficoltà ad accettare un ritorno, per quanto lento, alla normalità pre-pandemica. Esemplare è il caso di un articolo pubblicato nel blog del New England Journal of Medicine ad aprile, in cui l’esperto di malattie infettive Paul Sax argomentava a favore dell’abolizione dell’obbligo di utilizzare le mascherine all’aperto. Un’opinione che ha scatenato un acceso dibattito tra i lettori, in cui i più fieri difensori della necessità di indossare le mascherine all’aperto sembravano essere proprio i non addetti ai lavori.
Via: Wired.it
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