Tra le piante della famiglia degli ulivi (Oleaceae) ci sono molti più maschi di quanti previsti dai libri di botanica. E, come spesso accade, il motivo è un vantaggio riproduttivo. A scoprirlo e a darne la motivazione è un gruppo di ricercatori francesi capitanati da Pierre Saimitou-Laprade dell’Università di Lille, che pubblica su Science lo studio su Phillyrea angustifolia.
Tra le piante spesso prevale l’ermafroditismo, in cui uno stesso esemplare presenta sia gli organi riproduttivi maschili sia quelli femminili, e può quindi fungere alternativamente da maschio e da femmina. Tuttavia, alcune piante normalmente ermafrodite presentano unicamente organi maschili a causa di una mutazione genetica che porta alla sterilità dell’organo femminile (fatto che suggerisce l’esistenza di uno stadio evolutivo intermedio tra la riproduzione ermafrodita e quella definita ‘dioica’, in cui gli organi maschili e femminili si trovano su piante diverse).
Finora si pensava che questi esemplari maschili rappresentassero solo una piccola percentuale: avendo un solo sesso infatti, la loro probabilità di riprodursi è la metà di quella dei vicini ermafroditi, che possono utilizzare sia polline sia ovuli. In realtà le cose non stanno così. Grazie all’analisi di 107 piante ermafrodite e attraverso incroci controllati, i ricercatori hanno infatti scoperto che gli ermafroditi possono essere divisi in due gruppi (definiti nello studio G1 e G2) e che piante all’interno di uno stesso gruppo hanno sviluppato dei meccanismi tali per cui non possono impollinarsi a vicenda. Questo significa che le piante G1 possono impollinare soltanto le G2 (e, a loro volta, essere impollinate soltanto da queste). Il meccanismo viene indicato con il termine “self-incompatibility” e serve per assicurare che l’impollinazione avvenga sempre tra individui diversi.
In questo scenario risultano quindi avvantaggiati i maschi di Phillyrea angustifolia, che possono impollinare entrambi i gruppi di ermafroditi G1 e G2, superando lo svantaggio riproduttivo dato dal fatto di non avere la “metà femminile”. Sarebbe questa maggiore fitness, secondo i ricercatori, ad aver permesso alla popolazione maschile di mantenersi nel tempo, contro ogni previsione. (f.p.)
Riferimento: 10.1126/science.1186687
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