Materiali auto-assemblanti a Dna

Sfruttare le proprietà del Dna per costruire materiali e oggetti auto-assemblanti. Il segreto è nella lunghezza delle molecole di acido nucleico impiegate. Quella ottimale è stata determinata dai ricercatori della North Carolina State University (Usa), insieme ai colleghi della University of Melbourne (Australia). La tecnica, come illustrato sulle pagine di Langmuir, potrebbe essere sfruttata per produrre dispositivi con diverse applicazioni, come sensori molecolari e sistemi specifici per il rilascio dei farmaci.

Ogni singolo filamento di Dna ha una successione caratteristica di basi (le quattro lettere che formano il codice genetico, timina, adenina, guanina e citosina) ed è capace di riconoscere e legarsi ad altre molecole di Dna complementari (in base al fatto che la timina si lega solo all’adenina, e la guanina corrisponde sempre alla citosina). Questa proprietà può essere sfruttata per ricoprire alcuni materiali con uno strato di molecole di Dna in grado poi di riconoscere e legarsi a una specifica controparte. In poche parole, si tratta di usare il Dna come una specie di felcro. La tecnica è nota come “DNA-assisted-self-assembly”, ma ha alcune limitazioni: nel caso in cui i filamenti di Dna siano troppo corti, il legame fallisce, e se sono troppo lunghi, i materiali si deformano.

Per comprendere quale fosse la lunghezza ottimale delle molecole di acido nucleico necessaria e sufficiente a guidare “l’auto-assemblaggio”, i ricercatori hanno effettuato una serie di simulazioni al computer del movimento dei filamenti di Dna (vedi il video). Hanno così scoperto che la lunghezza migliore è quella di 30-40 basi, che impedisce alle molecole di Dna di legarsi tra loro e favorisce invece il legame con le altre molecole “partner”.

Secondo gli scienziati, questa  tecnica potrebbe rivelarsi utile nella produzione di sofisticati sistemi di rilascio dei farmaci. Per esempio, i ricercatori dell’Università di Melbourne stanno lavorando a delle capsule auto-assemblanti e completamente biodegradabili che emettono il principio attivo solo in presenza di uno specifico stimolo fisico. 

Riferimenti: Langmuir DOI: 10.1021/la102762t

1 commento

  1. Wow!! Sarei curioso di sapere quanto sarebbe la capacità di legame di questi materiali.. La vedo un po’ dura però con i farmaci: chi accetterebbe di ingerire degli strani Dna sintetizzati in laboratorio nel Paese che ha detto no, schifato, agli Ogm!? 🙂

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