Reintrodurre la pena di morte per contrastare il traffico della droga. È la proposta lanciata nei giorni scorsi dal primo ministro della Mauritania Seewoosagur Ramgoolam, convinto ora, a solo un anno di distanza dalla dichiarazione del governo alle Nazioni Unite di avere abolito de facto la pena capitale, che sia l’unico modo per evitare il peggio in un paese in cui il 90 per cento delle infezioni da Hiv colpisce i tossicodipendenti. Il Subutex (l’oppiaceo Buprenorphin), la droga più diffusa, viene infatti assunta per endovena senza alcuna precauzione igienica da circa il 2 per cento della popolazione.
L’iniziativa di Ramgoolam si è già attirata numerose critiche: “Il primo ministro dovrebbe guardare all’evidenza dei fatti: l’esperienza ha ampiamente dimostrato che ovunque si siano introdotte pene sproporzionate rispetto al crimine commesso con lo scopo di risolvere problemi di salute pubblica, le cose non hanno funzionato” dice Gerry Stimson, direttore dell’International Harm Reduction Association (Ihra), l’associazione che promuove in tutto il mondo la strategia della riduzione del danno, che presiederà la 53esima edizione della sessione della Commissione sulle droghe narcotiche (Cnd) in corso a Vienna questa settimana.
Secondo Stimson, incrementare le pene non è solo inutile, ma anche dannoso perché i tossicodipendenti verrebbero spinti ancora di più nella clandestinità cercando di tenersi lontano il più possibile dai servizi sanitari pubblici, con l’inevitabile conseguenza di un aumento del rischio di contagio da Hiv.
A sentire gli esperti dell’ Ihra, le soluzioni da adottare sono di tutt’altro genere e si possono sintetizzare in una ben definita strategia indicata come “riduzione del danno”. Sotto questa voce troviamo tutte quelle misure che cercano di limitare il più possibile i mali causati indirettamente della droga, tra cui l’infezione da Hiv in primis: distribuzione di siringhe sicure tra i tossicodipendenti, somministrazione controllata di sostanze alternative, come il metadone, o ancora l’istituzione delle cosiddette “stanze del buco”, luoghi dove è possibile assumere sostanze stupefacenti sotto controllo medico. (g.d.o.)