Meno alghe, più mercurio nel pesce

Un gruppo di ricercatori del Dartmouth College (Usa) ha scoperto un legame tra la quantità di alghe nelle acque e la quantità di metilmercurio che, risalendo la catena alimentare, si accumula nei pesci e può arrivare fino alla nostra tavola. In un esperimento, Paul Pickhardt, autore principale dello studio pubblicato questa settimana su Proceedings of the National Academy of Sciences, ha disciolto minuscole quantità di isotopi di metilmercurio in una vasca contenente acqua dolce, alghe e piccoli crostacei della specie Daphnia, che si nutrono di alghe. Grazie alle misure di spettrometria di massa, i ricercatori si sono accorti che la concentrazione finale di metilmercurio nella Daphnia è inversamente proporzionale al quantitativo di alghe. Questo perché, secondo Pickhardt e colleghi, quando ci sono molte alghe il metallo è “diluito” nelle cellule vegetali. Quando invece le alghe scarseggiano il metilmercurio si concentra sulle poche piante disponibili. E in questo secondo caso la Daphnia, durante il pasto, assume una quantità molto più elevata di metilmercurio. “Adesso”, spiega Pickhardt, “capiamo molto meglio il nesso tra mercurio nell’acqua e mercurio nel pesce: le alghe sono praticamente l’anello mancante. E, grazie alla nostra tecnica, abbiamo raggiunto una sensibilità 50 volte superiore a ogni altro metodo di rilevamento del metallo.” Il metilmercurio, un sale di mercurio altamente tossico che causa danni irreversibili al sistema nervoso, incorre nel fenomeno della cosiddetta “biomagnificazione”, cioè dell’aumento di concentrazione mano a mano che si sale lungo la catena alimentare, dalle alghe agli organismi superiori. La biomagnificazione rappresenta un grave rischio per la salute dell’uomo. (f.n.)

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