All’Università di Bari non si studieranno più le “Tecnologie cosmetiche e galeniche” né le “Scienze dell’allevamento, igiene e benessere del cane e del gatto”; a Perugia, invece, niente più corso di laurea in tecnologie degli oli, grassi e derivati. Ebbene sì, il processo di riorganizzazione e snellimento delle università cominciato nel 2007 ha mietuto le sue vittime: 469 corsi eliminati in due anni (pari al 9 per cento). Sono i dati presentati ieri alla Conferenza dei rettori universitari a Roma da Cun (Consiglio Universitario Nazionale) e Almalaurea.
Le più decimate sono state le lauree triennali di primo livello, ben 371 corsi in meno (circa il 13 per cento). “Solo” 97, invece, sono le laurea specialistiche scomparse (il 4 per cento). Questa razionalizzazione ha portato i corsi dai 5.460 dell’anno accademico 2007-2008 ai 4.986 del 2009-2010. Non sono state toccate le lauree a ciclo unico come Medicina e Chirurgia, Odontoiatrie e protesi dentaria, Veterinaria, Farmacia, Chimica e Tecnologie farmaceutiche, Architettura, Ingegneria edile, Giurisprudenza.
I più severi nei tagli sono stati gli atenei statali e quelli di media grandezza del centro e del nord: meno 139 corsi al Centro Italia (l’Università di Roma “La Sapienza” è stata l’ateneo che in assoluto ha eliminato più corsi di laurea), meno 140 al Nord (53 ovest e 87 all’est), meno 108 al Sud e meno 87 nelle isole. In percentuale però i tagli sono stati maggiori proprio al Sud e sulle isole, rispettivamente (9,5 e 13,9 per cento) dove l’offerta formativa era già meno presente.
A determinare la sorte dei corsi è stata la mancanza di requisiti minimi per giustificare la spesa e le scarse immatricolazione. Andrea Lenzi, presidente del Cun ha spiegato che la riduzione maggiore a carico delle lauree triennale – da 2.782 a 2.411 (mentre le specialistiche sono scese da 2.401 a 2.304) – è stata motivata dall’obiettivo di offrire agli studenti percorsi di base completi e non frammentati. (c.v.)
