Metti in pentola la cultura

Bruno Arpaia, Pietro Greco

La cultura si mangia!

Guanda 2013, pp. 174, euro 12,00

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La coppia Arpaia-Greco ha tutti i titoli per occuparsi di cucina culturale e solleticare palati politicamente irritati con una rinfrescante dieta mediterranea. Perché, sin dalle prime pagine, illustra cosa c’è nella dispensa e come lo si potrebbe usare senza fondare il futuro sulla sola richiesta di soldi. Il pregio di questo scritto è che convince e coinvolge, alla faccia (perdonatemi la ruvidezza) degli economisti che, per nostra fortuna di lettori, sono riaccantonati nel libro di Sergio Ricossa (Maledetti economisti).

Il banchetto di cultura non riguarda solo tecnologie e prodotti più o meno avanzati di mercato. Ma tutto ciò che l’Italia rappresenta nel mondo e che è imbandito ed offerto sia nei luoghi classici sia nei luoghi emergenti: nel Salento non meno che nel Veneto, badando e sottolineando i diversi modi della creatività, teatro, scienza e musica, conoscenza e tradizioni.

L’impresa più ardua è quella di raccontare i numeri: perché bisogna in parte ricostruirli e inzupparli nella credibilità affinché acquistino il sapore che fa dire “ancòra!”. Dunque, la cultura non solo come pietanza quotidiana ma come leccornia per golosi, Lo siamo ancora, in Italia, golosi? Ecco, questo è uno dei dubbi su cui la politica ha molto da fare: qui si tratta di diventare golosi e in tempi ragionevoli, con quello che possono fare le famiglie, le scuole, le strutture che organizzano una conoscenza personalizzata degli alimenti culturali.

Sono contento di questo libro, perché è stimolante. Ma non posso non frullarlo con le mie esperienze personali di vecchio professore. Qualche problema c’è stato e c’è, sicché bisognerà affrontarlo. La tragedia è incominciata dopo il boom quando i figli di chi aveva ricostruito hanno scoperto che l’economia finanziaria poteva remunerare quasi come una fabbrica senza doversi sfinire in problemi gestionali. Maledetti economisti! Tutti al mare, mentre i soldi lievitano. Eh, no! Non si sono accorti in tempo che è la lungimiranza produttiva a fare ricchezza con l’innovazione. Non si può continuare a vendere calcolatrici a manovella quando arrivano i PC. Gli imprenditori italiani hanno invece puntato su “pochi, maledetti e subito!”, sbagliando soprattutto sul subito, che è la principale causa di invecchiamento di ciò che incide sulle condizioni del mondo. La pazienza e la passione per gli investimenti a rischio non sono mai state nelle nostre tradizioni. In Italia c’è più patrimonio ereditato da inetti che risorse per i creativi. Giustamente, gli autori cantano le lodi delle città visionarie perché dimostrano una linfa vitale più fluida e piccante di quella che si osserva attorno a noi che sguazziamo nella burocrazia. Certo, c’è da chiedersi qual è l’effetto sulla società e sulla politica delle innumerevoli distrazioni che ci hanno fornito con tutti i mezzi visto che il consenso è garantito: dal derby Roma-Lazio al bunga bunga. Non a caso è stata inventata per Berlusconi l’espressione “utilizzatore finale”.


Questo articolo è stato pubblicato sul numero di agosto 2013 di Sapere. Ecco come acquistare una copia della rivista o abbonarsi on line.

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