Metti un farmaco nel vestito

    Come vincere la concorrenza con la Cina? È la domanda che sentiamo ripetere quasi ossessivamente in molti settori dell’industria italiana, e in particolare in quello tessile, tradizionalmente un pezzo forte della nostra economia. Grazie ai bassissimi costi di manodopera, i Paesi dell’estremo oriente rischiano seriamente di mettere fuori gioco i produttori di casa nostra nel settore dell’abbigliamento, alta moda a parte. A sorpresa, una risposta a questo problema arriva dai ricercatori dell’Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ictp) di Pozzuoli (Na). Che lavorano a un filone di ricerca decisamente promettente dedicato a tessuti ipertecnologici. Grazie a un finanziamento della Regione Campania, qui è stato istituito circa due anni fa un gruppo di lavoro che comprende chimici, biologici e farmacologi, tutti impegnati a creare linee di abbigliamento decisamente insolite. Un lavoro che ha già prodotto diversi brevetti interessanti. “La sfida è quella di considerare l’abito e il tessuto come un vero e proprio laboratorio scientifico” spiega Cosimo Carfagna, direttore dell’Istituto. “I filoni principali di ricerca sono due. Da una parte la creazione di tessuti ignifughi; dall’altra, ed è la più promettente, l’inserimento nelle fibre di tessuto di microcapsule di composti chimici che diano all’abito proprietà termiche o farmacologiche particolari”. Esiste già una lunga tradizione di tecniche per creare tessuti sintetici capaci di respingere l’umidità o mantenere il calore corporeo anche nelle condizioni più estreme. Ma il problema è dare proprietà di questo tipo anche ai tessuti naturali come cotone, lino e lana, che per molti motivi sono preferiti dai consumatori per gli abiti di tutti i giorni. “Conferire proprietà particolari ai tessuti naturali però è tecnicamente più difficile”, spiega Carfagna, “perché non possono trattati con il calore in modo da modificare le fibre”. Il lavoro del gruppo campano consiste quindi nel creare capsule di particolari composti, abbastanza piccole da essere inserite fra la trama e l’ordito dei tessuti e modificarne le proprietà. Il ventaglio di applicazioni potenziali è molto ampio. Tessuti in grado di garantire migliore comfort contro il caldo e il freddo. Ma soprattutto tessuti capaci di rilasciare sostanze con azione farmaceutica. “Per esempio, abbiamo sperimentato un tessuto trattato con olio di jojoba, un emolliente che cattura i radicali liberi e protegge la pelle dal sole e dalle irritazioni” dice Carfagna. Oppure tessuti antibatterici: piccole quantità di argento inserite tra le fibre possono infatti tenere lontani funghi e infezioni di ogni genere. Accanto a queste applicazioni destinate al grande pubblico, ci sono anche impieghi di nicchia ma estremamente importanti nel settore biomedicale: come pigiami per i pazienti ospedalizzati che evitino le piaghe da decubito, calze per diabetici che evitino le piaghe sugli arti inferiori. Fino a tessuti dotati di sensori per monitorare le condizioni di salute dei pazienti.Abiti “trattati” di questo genere sono già, in qualche caso, in commercio negli Usa. Ma in Europa devono ancora vincere molte resistenze, soprattutto da parte della stessa industria tessile che fatica a convertirsi a nuove tecnologie produttive, e delle stesse strutture di ricerca che non sempre riescono a far collaborare più competenze diverse al servizio dello stesso obiettivo applicativo. “Ma nel giro di qualche anno vedremo anche in Europa molti prodotti di questo tipo”, assicura Carfagna. Anche perché, secondo il ricercatore campano, questo è l’unico modo per la nostra industria tessile di rimanere sul mercato, dando alla propria produzione un valore aggiunto in termini di tecnologia, ed evitare la competizione con l’industria asiatica sulla produzione ordinaria. “La stessa cosa in fondo è già accaduta per il settore calzaturiero. Se si entra in un qualunque negozio di scarpe ci si trova di fronte a decine di modelli in qualche modo basati su studi scientifici, che garantiscono il grado ideale di umidità, di risposta agli urti, la posizione ideale del piede e così via. Invece nel settore tessile questo avviene solo per i tessuti sintetici dedicati allo sport professionistico. Trasferire lo stesso principio anche agli abiti da indossare tutti i giorni deve essere il prossimo passo”.

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