Svelato il mistero dello scheletro di Atacama

(Foto: Bhattacharya S et al. 2018.)

Nel 2003, un gruppo di scienziati alla ricerca di fossili nella regione dell’Atacama, in Cile, fece una particolare scoperta in un villaggio abbandonato chiamato La Noria: uno scheletro umanoide mummificato lungo circa 15 cm e con un’età compresa tra i 6 e gli 8 anni al tempo della sua morte. Ma la bassa statura del reperto non era la sua unica particolarità. Tra le altre anormalità c’erano, infatti, un teschio di forma conica, più lungo e angolare dei crani umani, e un ridotto numero di costole, solo 10 coppie anziché 12. La scoperta, ovviamente, ha portato a un gran numero di speculazioni sulla possibile origine, aliena o meno, del reperto, chiamato Ata, vecchio solamente di 40 anni.

L’origine relativamente recente di Ata vuol dire che le moderne tecniche di sequenziamento genetico possono essere applicate per studiare il suo DNA: in uno studio, pubblicato su Genome Research, un gruppo di scienziati della University of California San Francisco, ha fatto proprio questo, sequenziando l’intero genoma e rivelando i misteri della suo particolare aspetto. “Si tratta di un esemplare inusuale con origini potenzialmente straordinarie,” ha spiegato Garry Nolan, autore principale della ricerca, “Il nostro studio è un esempio di come la scienza moderna può essere utilizzata per rispondere alla domanda: che cos’è?”

Durante la ricerca, il team ha utilizzato un campione di DNA estratto dal midollo osseo di Ata per sequenziare il suo intero genoma e confrontarlo con quello di esseri umani e primati, tra cui scimpanzé e macaco rhesus. Grazie a questa analisi, gli scienziati hanno potuto confermare l’origine umana di Ata, e il suo sesso femminile.

Il passo successivo è stato cercare, sempre nel DNA, indizi genetici che potevano spiegare la bassa statura e le varia anomalie ossee di Ata. Dallo studio sono emerse diverse mutazioni genetiche, solitamente associate alla presenza di malattie come il nanismo, la scoliosi e anormalità muscolo-scheletriche. “Questo è un esempio perfetto di come studiare reperti antichi può insegnarci ad analizzare campioni medici moderni,” ha commentato Atul Butte, co-autore dello studio, aggiungendo che studiare le nuove variazioni genetiche osservate in Ata potrebbero aiutarci a capire meglio come si sviluppano particolari disturbi dell’apparato scheletrico.

Riferimenti: Genome Research

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