Sono quelle occasioni in cui improvvisamente e inaspettatamente ci accorgiamo di aver risolto un problema o di aver capito un concetto che fino a pochi istanti prima ci sembrava oscuro, ci sfuggiva. Momenti “aha”, se vogliamo, quelli in cui la lampadina si accende e l’intuizione si palesa. Ma se per chi li sperimenta sono una sorta di rivelazione, cosa rappresentano a livello fisiologico? A rispondere, in parte, alla domanda è oggi uno studio pubblicato su Pnas, in cui i ricercatori sono riusciti a isolare questi momenti.
Chiamati in gergo tecnico “epifanie di apprendimento”, i momenti “aha!” sono molto difficili da individuare perché sono, per natura, inaspettati e irreversibili. Per questo motivo, sono meno conosciuti rispetto ai meccanismi di apprendimento progressivo, in cui gradualmente si cambia il proprio comportamento sulla base di ciò che si è imparato. Per superare il problema, il gruppo di ricerca guidato da Ian Krajbich dell’Ohio State University, ha messo a punto un test con l’obiettivo di produrre dunque un’epifania nei partecipanti, monitorati nel corso dell’esperimento con un sistema di tracciamento oculare e pupillare.
Il test, che consisteva in un gioco contro il computer, era molto semplice: il partecipante sceglieva un numero tra 0 e 10, e vinceva se il suo numero era più basso rispetto a quello scelto dall’avversario virtuale. Ciò che importava ai fini del test era che i partecipanti non conoscessero le regole del gioco. Il momento “aha!” corrispondeva in questo caso a quello in cui, dopo una serie di tentativi, i partecipanti capivano finalmente il criterio con cui veniva loro assegnata una vittoria o una sconfitta e si accorgevano che lo zero era sempre le scelta migliore.
Meno della metà dei circa 60 partecipanti ha raggiunto l’epifania nel corso dei 30 round di cui era composto il test, e il movimento dei loro occhi e le reazioni delle loro pupille nel corso dell’esperimento erano caratteristici e diversi da quelli di chi non era riuscito a trovare la soluzione. Per esempio, dall’analisi dei loro movimenti oculari è emerso che alla fine di ogni giocata prestavano più attenzione all’esito piuttosto che al numero scelto dall’avversario, e che in questa fase le loro pupille erano più dilatate di quelle di chi non aveva raggiunto l’epifania, caratteristica tipica di chi si trova in una fase di apprendimento. “Potevamo prevedere che fossero sul punto di avere un’epifania prima ancora che loro stessi sapessero che stava arrivando” ha spiegato Krajbich.
Questo studio potrebbe portare allo sviluppo di sistemi automatici in grado di valutare se una persona abbia davvero raggiunto un’epifania di apprendimento o stia solo fingendo di capire. Potrebbero, per esempio, essere utilizzati nel corso dei colloqui di lavoro per valutare le capacità dei candidati, oppure nelle scuole per rilevare velocemente se gli studenti abbiano compreso la lezione o se stiano solo annuendo per dare l’impressione di avere capito.
Riferimenti: Pnas