Neurobiologia della cattiveria: le basi biologiche del comportamento

Studi molto recenti hanno dimostrato che la presenza di determinati varianti genetiche implicate nel metabolismo dei neurotrasmettitori cerebrali può essere associata ad un rischio maggiore di sviluppare comportamenti antisociali e di commettere atti criminali. Va detto: possedere una particolare variante genetica è condizione né sufficiente né necessaria perché l’individuo manifesti un comportamento antisociale – in altri termini, non vi è alcun determinismo – ma può aumentarne la probabilità, ma in dipendenza dell’ambiente. Quanto è rilevante tutto questo per il concetto stesso di libero arbitrio e di responsabilità giuridica? Ne abbiamo parlato con Pietro Pietrini dell’Università degli Studi di Pisa e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Psicologia Clinica all’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, che sul tema è intervenuto alla quarta edizione di Trieste Next, BIOlogos, the future of life.

Professor Pietrini, cosa si intende per Neurobiologia della cattiveria?
“Si intende lo studio dei correlati genetici e cerebrali del comportamento umano, in particolare del comportamento deviante. Il titolo ‘Neurobiologia della cattiveria’ è più accattivante, indubbiamente, ma avremmo potuto dire neurobiologia della bontà o del comportamento prosociale, non sarebbe cambiato il concetto. Per lungo tempo si è dibattuto se il comportamento sia il risultato dell’ambiente in cui l’individuo è stato allevato o se sia invece espressione di fattori costituzionali (genetici). In realtà quello che sappiamo oggi è che il comportamento è il frutto dell’interazione tra natura e ambiente. Ci sono fattori genetici che modulano l’interazione dell’individuo con l’ambiente. Dunque, l’annosa questione nature vs nurture è sostanzialmente priva di significato, nel senso che concorrono entrambe allo sviluppo dell’individuo e del suo modo di comportarsi nella società”.

Cosa sappiamo delle basi biologiche del comportamento?
“Dopo la decodifica del genoma umano nel 2003, si sono cominciate a studiare le varianti alleliche di numerosi geni. Premessa: come esseri umani abbiamo tutti lo stesso patrimonio genetico, composto da circa 22mila geni. La grande variabilità interindividuale che è sotto gli occhi di tutti è dovuta alla presenza di numerosissime variazioni alleliche, si calcola intorno ai 30 milioni, che possono essere anche semplicemente la sostituzione di una singola lettera nella sequenza del gene. In questo caso si parla di single nucleotide polymorphism (Snip), cioè di polimorfismo a singolo nucleotide. Basta la sostituzione di una sola lettera del codice del Dna (di un singolo nucleotide, appunto) perché la proteina che viene trascritta abbia caratteristiche anche molto diverse da quella originale, cioè quella trascritta dal gene nella forma più diffusa, la cosiddetta forma wild. Ebbene, per quanto riguarda lo studio dei geni che giocano un ruolo nello sviluppo del comportamento e della personalità dell’individuo, si è visto che esistono varianti alleliche di geni che codificano per neurotrasmettitori e recettori cerebrali che sono significativamente associate con la modulazione del comportamento.

Come si legano varianti genetiche e comportamento?
“Il primo punto che è importante chiarire subito è che non vi è alcun effetto deterministico: vale a dire, nessuna variante allelica determina alcun comportamento. Quello che invece si è scoperto è che certe varainte alleliche modulano il rischio che l’individuo da adulto sviluppi un comportamento antisociale ed aggressivo, se da piccolo è stato allevato in un ambiente malsano, è stato maltrattato e/o abusato. Al contrario, se l’individuo è cresciuto in un ambiente sano, ricco di attenzioni e di stimoli, queste stesse varianti sembrano favorire lo sviluppo di un comportamento prosociale. Dunque, si può parlare di ‘geni di plasticità’, nel senso che queste varianti alleliche sembrano modulare la suscettibilità dell’individuo all’ambiente che lo circonda. Si comprende quindi come geni e ambiente siano due fattori inscindibili nello sviluppo del comportamento umano. E come la lunga diatriba tra i ostenitori che tutto è nella biologia e coloro che per contro ascrivono il comportamento al solo effetto dell’ambiente sia priva di fondamento”.

Un tema anche filosofico, se vogliamo…
“Direi che il comportamento umano, l’etica in senso più ampio, sono temi presenti fin dagli albori del pensiero filosofico. Basti pensare a Platone, che a me piace sempre citare: ‘Perché malvagio nessuno è di sua volontà, ma il malvagio diviene malvagio per qualche sua prava disposizione del corpo e per un allevamento senza educazione, e queste cose sono odiose a ciascuno e gli capitano contro sua voglia’ (Platone, Timeo, 86 e)”.

Che implicazioni etiche e giuridiche ha tutto questo?
“Le nuove evidenze delle neuroscienze e della genetica molecolare hanno dato nuovo vigore alla questione di quanto l’individuo sia veramente libero e responsabile delle proprie azioni o quanto piuttosto sia determinato nel suo agire. Come è noto, presupposto del sistema penale è che l’individuo sia dotato di libero arbitrio, ovvero sia in grado di comprendere il significato e le conseguenze delle proprie azioni e di decidere di agire in un senso o nell’altro. Premessa, questa, alla base del concetto stesso di imputabilità, che caratterizza gli ordinamenti giuridici retributivistici, tipici di tutte le società progredite. È quasi universalmente riconosciuto che l’incapacità di intendere e di volere rappresentino un valido motivo di esclusione o riduzione della pena. Per queste ragioni, una persona affetta, per esempio, da una malattia che comprometta le funzioni dei lobi frontali, sia a seguito di un processo neurodegenerativo demenziale, o di un tumore, o ancora per un trauma accidentale, solitamente non viene ritenuta responsabile nel caso di comportamenti disinibiti, irrispettosi delle norme sociali e delle leggi, così come nessuno riterrebbe responsabile dei propri atti un bambino nei primi anni di vita. Chi opera contro le norme morali e sociali lo fa a seguito di una scelta consapevole e volontaria, perché decide di essere malvagio o lo fa per una sua incapacità ad essere naturalmente portato al bene, come direbbero i filosofi? Nuove acquisizioni su quanto molti aspetti del nostro comportamento siano in parte condizionati da particolari fattori genetici giungono dalle recenti scoperte della biologia molecolare, che offre una base biologia a quelle che, quasi cento anni fa, erano state intuizioni geniali di Sigmund Freud (si pensi ai fattori costituzionali che Freud chiamava in causa per spiegare la vulnerabilità alla depressione). Certo, possedere un dato allele è condizione né sufficiente né necessaria perché l’individuo manifesti un comportamento antisociale – in altri termini, non vi è alcun determinismo – ma ne aumenta grandemente la probabilità. Quanto è rilevante tutto questo per il concetto stesso di libero arbitrio e di responsabilità giuridica? Vedremo. Per ora, per esempio, due sentenze recenti dei Tribunali di Trieste e di Como hanno preso in considerazione elementi di alterata funzionalità cerebrale e di vulnerabilità genetica riportati nelle perizie psichiatriche degli imputati”.

Credits immagine: Mehmet Pinarci/Flickr CC

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