Note dolenti

L’Italia è il fanalino di coda in Europa per la terapia del dolore. Siamo davanti solo alla Grecia, dove si registra il più basso consumo di oppioidi. Nonostante i progressi nel campo delle cure palliative, cioè tutti quegli interventi fisici, psicologici e sociali che mirano al miglioramento della qualità della vita del paziente inguaribile, il dolore rimane ancora uno dei sintomi meno riconosciuti e trattati nel nostro paese. Pesa lo stigma culturale all’uso terapeutico di sostanze stupefacenti. Pesano i tagli ai fondi, e la mancanza di investimenti in formazione e ricerca. Non aiuta la nuova legge sulle droghe, che ha tolto ai cannabinoidi la dignità di farmaco, bollandoli come “sostanze prive di valore terapeutico”. Si apre in questo clima il congresso, in corso a Bologna dal 26 al 29 aprile, della Società italiana di cure palliative (Sicp) nel ventennale della sua fondazione. Un appuntamento per ricordare il lavoro fatto dalla Sicp sin dal 1986, grazie al quale in Italia esiste oggi una rete per le cure palliative che conta più di 100 hospice, i centri di assistenza ai malati terminali, seppur distribuiti più al Nord che al Sud. Ma è anche l’occasione questo congresso per sollevare i problemi aperti, come quelli sulla terapia del dolore. “Gli interventi contro il dolore”, spiega Augusto Caraceno, presidente del comitato scientifico, “si sovrappongono per alcuni aspetti alle cure palliative, con la differenza che interessano non solo i pazienti giunti alla fase finale di una malattia irreversibile, circa 100.000 all’anno in Italia, ma soprattutto coloro che cercano sollievo dal dolore acuto, cronico e neuropatico”.A differenza delle cure palliative, che hanno ricevuto grande impulso negli ultimi anni grazie ai finanziamenti previsti dalla legge 39/99, le terapie contro il dolore hanno accumulato ritardi e incontrato resistenze. La legge 12 varata nel 2001 dall’ex Ministro della salute Girolamo Sirchia aveva alimentato speranze di un cambiamento di rotta. “Erano previste semplificazioni nella prescrizione di morfina, narcotici e oppiodi, e il loro rimborso da parte del Sistema Sanitario Nazionale”, ricorda Caraceno. Tuttavia, l’uso di queste sostanze, è restato limitato, confinato a pochi pazienti e per fasi brevi. Anche se non esistono dati precisi, da analisi campione risulta che meno del 60 per cento dei medici ha ritirato il ricettario specifico per gli stupefacenti, e la maggior parte di loro non prescrive oppiacei contro la sofferenza, del tutto inutile, dei malati neoplastici o il dolore severo dei malati non oncologici. “Per avere una dimensione del problema, basti il dato che in Italia solo il 20 per cento delle donne riceve l’analgesia epidurale durante il parto, contro una percentuale del 70 per cento in Inghilterra”, aggiunge Caraceno.Ad aggravare la situazione ci ha pensato l’ultima legge sulle droghe che ha modificato il Dpr 309/90 inserendo i derivati della cannabis nella tabella delle sostanze che non trovano impiego terapeutico.In realtà, farmaci cannabinoidi in Italia non sono mai entrati in commercio. Che cosa è cambiato, quindi? “Prima della legge un medico poteva prescrivere un farmaco che un paziente, volendo, avrebbe potuto acquistare all’estero. Ma non solo. Il provvedimento, di fatto, taglia le gambe alle possibilità di fare ricerca clinica su questi principi attivi”. In Canada, la sperimentazione di un cannabinoide, il tetraidrocannabinolo, ha mostrato effetto analgesici nei pazienti con sclerosi multipla. Altre sperimentazioni sono in corso in Inghilterra e Spagna. “Si tratta di un fronte potenzialmente interessante anche per le cure palliative”, si rammarica il presidente della Sicp. “E l’attuale legislazione potrebbe essere di ostacolo alla verifica clinica dell’efficacia dei cannabinoidi”. Ma cannabinoidi a parte, con la nuova legge, potrebbe diventare un problema anche portare a domicilio uno stupefacente a un malato ricoverato a letto. Meglio chiedere una fotocopia della ricetta medica al farmacista, se si vogliono evitare grane. La legge non ammette ignoranza. E in questo caso, nemmeno buone intenzioni.

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