Nuove armi contro l’Alzheimer

La malattia di Alzheimer è caratterizzata dal progressivo deterioramento del cervello. Un processo innescato dall’accumulo di beta-amiloide, una proteina che si interpone tra le cellule interrompendo le connessioni sinaptiche. Le terapie mediche messe in atto finora hanno puntato sul rallentamento della formazione delle placche di beta-amiloide ma ora un gruppo di ricerca del californiano del E. Webb Center for Neuroscience, Aging, and Stem Cell Research sta cercando di cambiare la filosofia terapeutica concentrandosi sullo sviluppo di un farmaco chiamato nitromemantina che, si spera, potrà rallentare la distruzione delle connessioni tra neuroni, evento che è alla base di perdita di memoria e declino cognitivo nei pazienti colpiti da Alzheimer. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Pnas.

“Dopo molti anni in cui i medici si sono concentrati senza grossi successi sulla distruzione delle placche di beta-amiloide, abbiamo puntato sull’identificazione di una terapia completamente diversa – dice Stuart A. Lipton, leader di gruppo di ricerca – che ha fornito dati interessanti sulle capacità dei neuroni di ripristinare le connessioni sinaptiche interrotte nonostante la presenza di beta-amiloide”.

I test di laboratorio, effettuati su modelli animali e su cellule cerebrali derivate da staminali umane, hanno mostrato più nei dettagli i percorso fisiopatologico che causa la perdita delle connessioni sinaptiche: l’accumulo di beta-amiloide, finora considerato in grado di danneggiare direttamente le sinapsi, produce invece il danno in associazione con gli astrociti, altra famiglia di cellule cerebrali che ha il ruolo assimilabile a grandi linee a quello di un’impalcatura, che separa e sostiene i neuroni. In presenza di beta-amiloide, gli astrociti rilasciano una massiccia quantità di glutammato, un neurotrasmettitore che in condizioni normali collabora alla conservazione dei ricordi e all’apprendimento ma, quando viene rilasciato in dosi eccessive, produce l’iperstimolazione del recettore Nmda (N-Metil-D-Aspartato) che induce la distruzione della sinapsi colpita.

La memantina, uno dei componenti del nuovo possibile farmaco, era già nota per la sua capacità di rallentare, seppur in maniera molto modesta, l’iperattività del recettore Nmda nel cervello dei pazienti colpiti da Alzheimer. La causa della scarsa risposta alla terapia è stata identificata nella carica elettrica di cui sono dotate le molecole di memantina. Questa caratteristica magnetica è un normale attributo delle molecole e nel caso della memantina si trattava di una carica positiva, dello stesso segno delle molecole bersaglio del farmaco, che si trovano all’interno dei recettori Nmda localizzati sulla membrana dei neuroni malati. Questa equivalenza di cariche portava alla repulsione reciproca impedendo al farmaco di agire. Per aggirare il problema gli scienziati hanno modificato la molecola di memantina aggiungendovi una porzione di quella della nitroglicerina, farmaco che è invece caricato negativamente, quindi in grado di legarsi saldamente ai recettori Nmda, portando con se anche la memantina.

“Nel modello animale”, ha aggiunto Lipton, “la nitromemantina ha annullato l’iperattività di Nmda consentendo la formazione di nuove sinapsi tra i neuroni che le avevano perse ripristinando il normale e precedente numero di connessioni sinaptiche entro qualche mese ma iniziando ad agire entro poche ore”. Al momento attuale, qualsiasi terapia mirata alla cura dell’Alzheimer ha fallito il proprio obiettivo lasciando i pazienti senza una reale speranza. Ci vorrà ancora molto tempo prima che questa molecola arrivi effettivamene alla pratica clinica ma, se la sperimentazione sull’uomo confermasse le risposte ottenute in laboratorio, la sintesi della nitromemantina potrebbe rappresentare una speranza concreta per i malati di Alzheimer, sia in fase precoce che avanzata.

Riferimenti: Pnas doi:10.1073/pnas.1306832110

Credits immagine: caravinagre/Flickr

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