Obiettivo natura

A Venezia è di scena la natura. I 13 mila metri quadrati dell’Arsenale della città ospiteranno fino al 7 luglio prossimo la più grande rassegna fotografica europea dedicata al lavoro di un singolo artista. Lui è Gregory Colbert, canadese, innamorato della natura e dell’arte. La mostra, dal titolo, “Ashes and snow”, raccoglie 200 fotografie stampate su una preziosa carta vegetale pigmentata. Attraverso le immagini, Colbert racconta dieci anni del suo lavoro, durante i quali ha attraversato 27 Paesi alla ricerca di luoghi incontaminati, dove, afferma, “è ancora possibile comunicare in modo autentico con gli animali, purché si parli il linguaggio del cuore”.

Colbert, lei ha fotografato uomini e animali gli uni accanto agli altri. Come è riuscito a ottenere un’ interazione così perfetta, dove non c’è traccia di pericolo né di paura, ma solo di pace e silenzio?

“Prima di tutto, comunichiamo con gli animali ogni giorno, perché anche noi siamo animali. Tuttavia, quando tentiamo di dialogare con gli esseri umani una sorta di muro si erige tra noi e gli altri. Con gli animali, invece, se ci presentiamo nudi davanti a loro, se abbandoniamo la volontà di dominio e prevaricazione e se usiamo il linguaggio del corpo, possiamo essere in armonia. E gli elefanti sono maestri in questo. Acuti, sensibili e intuitivi, riescono a cogliere benissimo quando gli esseri umani gli si avvicinano. Sono in grado di “leggere” le sfumature, quelli che io chiamo i “sottotitoli” degli uomini. Quindi, in sostanza, quello che ho cercato di realizzare è molto semplice, direi naturale. Ciò che è innaturale è la nostra incapacità a comunicare”.

In alcune foto, lei appare molto vicino ai cetacei. Chi ha scattato quelle foto?

”Sì, è vero, posso dire di essere parte del loro spazio, ma nello stesso tempo lo rispetto facendo attenzione a non invaderlo. Io ho realizzato tutte le foto sulla terraferma, mentre quelle nell’acqua sono opera del mio collega Kogi Nagamorra. Vorrei sottolineare che non vi è alcuna simulazione al computer, perché elefanti e balene non lavorano al computer”.

Nel mirino del suo obiettivo sono passate balene, gru, aquile reali, falchi. Sembra tuttavia che gli elefanti siano i suoi beniamini. E’ così?

”Sono per me gli ambasciatori della natura. Si racconta che nelle foreste pluviali africane grazie agli elefanti, chiamati “i guardiani della foresta”, la gente del posto riesce a mangiare frutti particolari, che solo le loro zampe sono in grado di tagliare. Una conferma questa di quanto e come essi siano legati all’ambiente circostante. Ciò non toglie che provo una profonda ammirazione anche per le balene e gli uccelli. Quello che amo, in realtà, è la diversità degli animali, veri e propri capolavori della natura, dotati di un potere, direi, incantatore”.

Nella sua esperienza, quale è stato l’evento più bello ed emozionante e quale, al contrario, quello più pericoloso e spiacevole?

”Ho vissuto tanti momenti significativi, direi quasi miracolosi e sublimi, e molto diversi tra loro. Ci sono stati anche eventi pericolosi e sarei un idiota se dicessi di non aver mai avuto paura. E’ importante però tenere lontano qualsiasi timore, poiché molti animali sono in grado di percepirlo e di metterci nei guai. La cosa più bella, comunque, è stato poter vedere la sorpresa, la meraviglia delle persone di fronte alle mie foto. Persone di ogni età e nazionalità. Uno stupore che avevo osservato finora solo davanti a un film, a un concerto, a un balletto e mai davanti a una mostra”.

L’arte, quindi, ha svolto un ruolo significativo?

”L’arte è complice della natura e mezzo di ricerca della verità. Io sono un artista che non se ne sta rinchiuso nel proprio studio, ma che lavora all’aria aperta, che osserva le cose dall’interno. Così, posso dire di aver trovato la verità nella natura, ma non mi sento di dire che sia l’unica verità possibile”.

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