Oltre gli occhi

Con circa 150.000 movimenti al giorno, l’occhio ha un’attività motoria più intensa di quella cardiaca. Mentre il cuore infatti scandisce 60 battiti al minuto, la vista può andare al ritmo di quattro o cinque movimenti al secondo. Tanti ne servono infatti per osservare un’immagine. Si tratta di rapidissime occhiate, dette “saccadi”, di cui l’osservatore è inconsapevole e che permettono la percezione dell’oggetto. Nonostante questo “terremoto” oculare, però, noi riusciamo ad avere un’immagine stabile del mondo. Come è possibile? Uno studio della facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute del San Raffaele, getta nuova luce sul processo che permette al cervello di stabilire se siamo noi o sono gli oggetti a muoversi. Galileo ha intervistato Concetta Morrone che, insieme a David Melcher ha condotto la ricerca, i cui risultati verranno pubblicati sul numero di agosto di “Nature Neuroscience”.Nonostante l’esistenza di numerosi studi sui movimenti oculari e sulla percezione delle immagini, ancora non riusciamo, viene proprio da dirlo, a “vederci chiaro”. Resta da spiegare soprattutto il comportamento del cervello. Che cosa avete scoperto a riguardo?“L’abilità dimostrata dal cervello nel fornire un’immagine stabile del mondo, nonostante la particolare ‘turbolenza’ della percezione visiva, è nota già dall’anno 1000. Fu uno studioso persiano, Al Hazen, il primo a notarla. Ma finora ancora non si era riusciti a capire come ciò fosse possibile. Il nostro studio cerca di colmare proprio questa lacuna e contraddice quanto finora si era creduto”.Che cosa si pensava che accadesse?“Fino a oggi si riteneva che, nella percezione di un’immagine, il cervello si creasse come delle ‘telecamere’ capaci di muoversi insieme agli occhi. Si pensava, cioè, che ogni neurone fosse collegato a gruppi specifici di fotorecettori, le cellule incaricate di ricevere la luce, e che a ogni neurone fosse associata una porzione di mondo”. Ossia il cervello che segue lo sguardo. Invece non è così?“No. Almeno secondo i nostri dati. Il cervello è in grado di elaborare le informazioni provenienti dal campo visivo, indipendentemente dalla posizione dello sguardo. La telecamera è quindi solidale con il mondo esterno e non con gli occhi. I neuroni effettuano una sorta di “rimappatura” collegandosi ad altri fotorecettori, anche se l’occhio si muove. E’ come se si creasse una sorta di traccia, di memoria, anche se il termine non è corretto, a cui il cervello si rivolge nonostante l’occhio cada da tutt’altra parte. Tutto ciò accade a livello sensoriale precoce, cioè a una primissima analisi del segnale visivo e non, come si era creduto finora, a un alto livello cognitivo”.La capacità della mente umana di sintonizzarsi sul mondo esterno vale anche per gli altri sensi?“Sembrerebbe proprio di sì. Sia nel nostro paese sia negli Stati Uniti sono in corso diverse ricerche a riguardo. Per ora si tratta ancora di esperimenti condotti sulle scimmie, ma presto si passerà all’essere umano. Comunque i risultati sembrano confermare quanto dimostrato per la percezione visiva. Da alcune prime indagini sull’udito, per esempio, emergono importanti analogie con la nostra ricerca. Anche in questo caso infatti c’è una ragione per cui continuiamo a percepire il suono dallo stesso luogo, nonostante il movimento della testa o del corpo intero, ed è che il cervello si collega in qualche modo con la realtà esterna, indipendentemente dalla posizione dell’orecchio”. Questa scoperta sembra avere anche delle implicazioni filosofiche. E’ un aspetto a cui avete pensato?“Le riflessioni filosofiche non ci competono. Quello che sicuramente ci sentiamo di dire è che si è fatto un passo avanti nello svelare i misteri e le abilità della mente umana. Grazie alle nostre ricerche si potranno anche curare alcune patologie legate all’instabilità della percezione visiva che affliggono bambini che hanno riportato delle lesioni alla nascita. E questo ci basta”.

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