Omologazione pericolosa

Povertà, carenze igienico-sanitarie, precarie condizioni ambientali e difficoltà di accesso al Servizio Sanitario Nazionale. Questi i principali ostacoli alla tutela della salute dei bambini immigrati nei Paesi Occidentali. Che si trasformano in un maggiore rischio di sviluppare malattie, in particolare allergie e intolleranze alimentari. La causa sembra essere la condivisione delle abitudini alimentari di tipo occidentale. Un fenomeno che aumenterà nei prossimi anni e che per questo deve essere studiato. Su queste patologie si è concentrato uno studio retrospettivo sul periodo 1999/ 2001, condotto da dodici unità operative di Pediatria (Milano, Novara, Parma, Venezia, L’Aquila, Modena, Pisa, Roma, Bari, Catania, Messina e Palermo), eseguito analizzando le cartelle cliniche dei bambini con uno o entrambi genitori stranieri affetti da malattia celiaca, intolleranza alle proteine del latte vaccino, altre allergie alimentari (all’uovo, al riso, alla soia, al pomodoro, ai piselli, alle arachidi, al pollo, al pesce e alla frutta), colite ulcerosa e malattia di Crohn. La ricerca è stata presentata durante una consensus conference promossa a Erice dalla Scuola Internazionale di Scienze Mediche del Centro di cultura scientifica ‘’Ettore Majorana’’ in collaborazione con la Società Italiana di Medicina delle Migrazioni dal 19 al 22 maggio scorso.“In totale sono stati analizzate 3.259 cartelle cliniche di bambini con intolleranze e allergie alimentari”, ha dichiarato Francesco Cataldo, segretario del Gruppo di Lavoro Nazionale per il Bambino Immigrato (Glnbi) della Società Italiana di Pediatria (Sip). Dall’analisi di questo materiale emerge che “l’1,9 per cento dei bambini con intolleranze alimentari hanno uno o entrambi i genitori immigrati”. I dati emersi dalla ricerca clinica portano a “ritenere che le allergie e le intolleranze alimentari rilevate nei bambini immigrati dipendano dall’omologazione alle abitudini alimentari di tipo occidentale. È quindi probabile che nel prossimo futuro esse possano aumentare in ragione dell’integrazione delle famiglie straniere con i costumi, e quindi con le consuetudini alimentari, della nostra popolazione”, spiega Cataldo. Peraltro il fatto che le intolleranze e le allergie alimentari interessano bambini originari da tutti i continenti, senza distinzione di provenienza, suggerisce che l’uniformarsi degli immigrati alle nostre abitudini alimentari favorisce l’insorgenza di questi stati morbosi. “Ciò è apparso particolarmente evidente per le intolleranze alimentari più frequenti rilevate dallo studio: la malattia celiaca e l’intolleranza alle proteine del latte vaccino”, spiega ancora Cataldo. Lo studio evidenzia un altro particolare significativo e cioè che “un brusco e repentino cambiamento delle abitudini alimentari successivo all’arrivo in un Paese Occidentale è un fattore di rischio per l’insorgenza di una intolleranza o di una allergia alimentare”.Eccezione alla generale uniformità rispetto alla provenienza degli immigrati è quella dei maghrebini: anche se i numeri disponibili non sono ancora sufficienti per poterlo affermare con certezza scientifica, nei bambini provenienti dalla zona del Maghreb si riscontra una maggiore incidenza di casi di rachitismo rispetto ad altre etnie. L’osservazione è stata fatta da un gruppo di ricercatori dell’Asl di Bologna Sud. L’orientamento emerso fra gli esperti riuniti a Erice è quello di proporre ai pediatri che hanno in cura questi bambini di provvedere a un’integrazione alimentare con la vitamina D nei primi mesi di vita. In questo come in altri casi appare chiaro che “gli immigrati non rappresentano un rischio per la salute collettiva del Paese che li ospita”, come hanno sottolineato gli organizzatori della consensus conference. Anzi, dagli studi clinici emerge che sono proprio loro, gli immigrati, (in particolar modo i bambini e gli adolescenti) a correre rischi di ammalarsi per i mutamenti climatici, alimentari e di costume. Deve essere quindi il Sistema Sanitario Nazionale a essere più sensibili verso le loro esigenze. All’unanimità è stata infine manifestata l’esigenza della garanzia del diritto sancito dalla legge agli immigrati. “Nel nostro Paese”, dice Mario Affronti, membro della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, “se si fa eccezione del Lazio e del Veneto la legge 40/98, che garantisce l’assistenza sanitaria anche agli immigrati non in regola con le norme di soggiorno, viene continuamente disattesa. Una migliore integrazione anche in campo sanitario rappresenterebbe la migliore prevenzione adottabile”.

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