Società

L’ottimismo? Un errore del cervello

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Questo proverbio ben si adatta alla schiera di ottimisti che, infischiandosene di tutto ciò che di negativo accade loro intorno, continua a vedere il bicchiere mezzo pieno. Come ci riescono? Secondo uno studio pubblicato su Nature Neuroscience, il cervello delle persone ottimiste ignora sistematicamente le brutte notizie, mentre è bravissimo a recepire, processare e tenere a mente quelle le informazioni positive. Semplicemente, si tappa i neuroni quando viene messo di fronte a situazioni che non gli piacciono, e compila la sua lista personale di bei ricordi, costruendosi un’immagine rosea (ma falsata) della realtà che lo circonda. Beati gli ottimisti, quindi, che vivono più felici? Mica tanto: se da una parte l’ottimismo fa bene alla salute, perché aiuta a tenere a bada i livelli di stress, quando diventa patologico può nuocere, impedendo alle persone di prendere le necessarie precauzioni contro qualsiasi rischio.

L’idea che un cervello ottimista si rifiuti di processare le cattive notizie è di un gruppo di ricerca coordinato da Tali Sharot dello University College London, in Gran Bretagna. I ricercatori hanno per prima cosa valutato l’indole di 19 volontari, dividendoli nei due gruppi di ottimisti e pessimisti. Successivamente, mentre il loro cervello veniva monitorato con risonanza magnetica funzionale, i volontari sono stati messi di fronte a un’ottantina di scenari ipotetici e poco piacevoli, se non tragici: dalla possibilità di perdere il lavoro a quella di ammalarsi di cancro. Per ogni situazione, i partecipanti dovevano azzardare una percentuale: la possibilità che la disgrazia potesse accadere a loro.

A questo punto, i ricercatori hanno rivelato le reali possibilità (stimate secondo statistiche) che un evento come il licenziamento o la malattia potesse colpirli da un giorno all’altro. Dopo averli messi di fronte alla realtà, hanno quindi chiesto ai volontari di esprimersi nuovamente sulle probabilità di ciascuno scenario. È uscito fuori che i più ottimisti tendevano a modificare le loro percentuali solo verso valori più alti, e cioè se quelle date dai ricercatori erano migliori di quanto aspettato. In caso contrario, non prendevano minimamente in considerazione i valori reali. Un esempio? Se la possibilità di ammalarsi di tumore fosse stata intorno al 30%, chi avevano detto in prima battuta 40% scendeva poi al 31%, mentre chi aveva azzardato un 10% aumenta solo lievemente il rischio. In altre parole, ignorava la realtà.

Grazie alla risonanza magnetica, i ricercatori sono stati in grado di risalire alla fonte (neurale) di questo comportamento. In tutti i partecipanti, ottimisti e pessimisti, quando la realtà era più rosea dell’immaginazione aumentava l’attività nei lobi frontali, l’area cerebrale deputata al processamento degli errori.

Al contrario, se le notizie erano peggiori di quanto aspettato, si registrava un’intensa attività solo nei lobi temporali delle persone più negative, mentre negli ottimisti, i segnali emessi da quest’area diventavano molto più deboli. Come si legge nello studio, è come se il cervello delle persone positive non riuscisse ad aggiornare le proprie valutazione della realtà, e premesse il bottone refresh solo quando la realtà supera le aspettative.

“ Questo lavoro mette in luce qualcosa che è sempre più evidente nelle neuroscienze, ossia che il compito di gran parte delle aree cerebrali coinvolte in processi decisionali è di testare le predizioni contro la realtà – ha commentato sulla Bbc Chris Chambers, neuroscienziato della Cardiff University, in Gran Bretagna, che non ha partecipato allo studio.

Ma gli autori mettono in guardia sul risvolto della medaglia: essere ostinatamente positivi non aiuta a prendersi le proprie responsabilità. Per esempio non porta le persone ad allacciare la cintura in automobile o a smettere di fumare, visto che, nelle loro menti, un incidente o una malattia sono sempre poco probabili.

Via: Wired.it

Martina Saporiti

Laureata in biologia con una tesi sui primati, oggi scrive di scienza e cura uffici stampa. Ha lavorato come free lance per diverse testate - tra cui Le scienze, Il Messaggero, La Stampa - e si occupa di comunicazione collaborando con società ed enti pubblici come l’Accademia dei Lincei.

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