Pari opportunità? Nell’anno 2660

Pari opportunità per il genere femminile: un “sogno” che dura ormai da 50 anni, ma che stenta ancora a vedere la luce. Nel nostro paese il percorso è stato scandito da tappe storiche, come il diritto di voto, arrivato nel 1946 a guerra appena finita, o la legge sul congedo di maternità del 1950, o ancora, l’abolizione del delitto d’onore nel 1981. Nonostante i progressi fatti però, la parità sostanziale, l’uguaglianza nel mondo del lavoro, nella retribuzione, nel riconoscimento di meriti e capacità, e nell’accesso a ruoli decisionali in politica e nelle imprese, è ancora lontana. Rossella Palomba ricercatrice dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr ha provato a calcolare una possibile “cronologia futura” per le conquiste di genere. I risultati, contenuti nel libro Sognando parità (Ponte alle Grazie, 2013), non sono incoraggianti: di questo passo, la parità tra uomini e donne all’interno dei ministeri ad esempio sarà raggiunta solo nel 2037, nell’università nel 2138, all’interno della magistratura nel 2425, e per i vertici della diplomazia si dovrà aspettare fino al 2660. Ecco come ha elaborato le sue stime.

Dottoressa Palomba, quello da lei tratteggiato è un percorso che dura più di 600 anni. Come ha calcolato queste tappe future?
“La mia è solamente una simulazione, non dico che le cose andranno esattamente in questo modo. In molti comunque guardano ai passi avanti fatti negli ultimi 50 anni e pensano che basterà aspettare per arrivare all’uguaglianza. Ho voluto allora provare a vedere cosa succederebbe se la situazione continuasse a svilupparsi al ritmo attuale. Nei settori in cui sono disponibili i dati, ho semplicemente applicato i ritmi di crescita dell’occupazione femminile attuali, e visto quando si arriverà ad una rappresentanza del 50%. In campi in cui è già alta la presenza di donne i tempi sono un po’ più brevi, come nella sanità, in cui si arriverebbe alla parità entro il 2087. Ma nei settori in cui le donne sono ancora in minoranza i tempi diventano esageratamente lunghi, diverse centinaia di anni, ad esempio nel caso di magistratura e diplomazia”.

Dunque aspettare non basta. Perché bisogna intervenire?
“Perché non basta essere brave. Nei settori in cui esiste la meritocrazia, la bravura permette di entrare, ma poi non vale più. I criteri per salire di grado, per acquistare potere decisionale, sono altri, come la “vicinanza” ai vertici, il “sapersi muovere”. Se vogliamo mandare avanti i bravi dunque, e i dati ci dicono che le donne sono spesso più brave e più preparate degli uomini, bisogna assolutamente intervenire”.

Quali sono gli interventi possibili?
“Lo strumento è sempre quello, anche se non piace a tutti: le famose quote rosa. Basta guardare all’America, dove senza le Affermative Action, che tra le altre cose hanno aperto le porte all’istruzione di qualità per i neri, Barack Obama non sarebbe oggi presidente. O per restare in casa nostra, alla Cgil, che sulla fine degli anni ’90 ha introdotto una quota minima del 40% di donne nelle strutture del sindacato. All’epoca in molti risero di questo intervento, ma tempo 10 anni, oggi abbiamo una segretaria donna. Si tratta di misure temporanee, che devono permettere di raggiungere quella “massa critica” del 30% di rappresentazione femminile senza la quale, ci dicono gli studi, è impossibile per le donne riuscire ad influenzare le decisioni di un’organizzazione”.

Rispetto al resto del mondo, com’è la situazione in Italia?
“Se nel 2008 un report del World Economic Forum ci dava 67esimi nel mondo in quanto a pari opportunità, adesso siamo scesi al 74esimo posto. Questo non vuol dire che stiamo peggiorando, ma che gli altri vanno avanti più velocemente di noi, e che quindi è fondamentale intervenire in fretta. Il primo passo da fare, basta guardare ai paesi del Nord Europa, è far entrare un numero maggiore di  donne in parlamento, perché dobbiamo poterci prendere carico della questione in prima persona. D’altronde sono azioni che vanno a vantaggio di tutti. Uno studio del Ministero delle Pari Opportunità svedese ad esempio ha calcolato che il raggiungimento della parità tra i sessi porterebbe ad un aumento del Pil europeo del 27%, aumento che per l’Italia arriverebbe al 30%”.

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