Parmitano è tornato sulla Terra

Luca Parmitano si appresta a entrare nella storia”, vi raccontavamo quasi sei mesi fa. E adesso che la sua grande impresa si è compiuta, possiamo orgogliosamente confermare che la nostra previsione era esatta. L’astronauta di Paternò, classe 1976, è rientrato felicemente sulla Terra dopo aver consegnato le chiavi della Stazione spaziale internazionale ai tre nuovi ospiti che l’abiteranno fino a maggio 2014, Mikhail Tyurin, Koichi Wakata e Rick Mastracchio. Dopo oltre cinque mesi nello Spazio e circa 2.880 orbite attorno alla Terra (considerando che sulla Iss si vedono più o meno 16 albe e 16 tramonti al giorno), se lo merita senza dubbio. Mentre il maggiore si riabitua alla gravità, in attesa di ascoltare dal vivo i suoi racconti – e sfogliare le innumerevoli foto che ha scattato da lassù e che trovate nella gallery – proviamoci a ricapitolare questi ultimi emozionanti mesi.

Il training. Imbarcarsi per lo Spazio non è esattamente come salire a bordo di un aereo. E Parmitano lo sa bene. Prima di arrivare sulla Stazione spaziale internazionale, l’astronauta ha dovuto seguire un rigidissimo programma di allenamento assieme ai colleghi Karen Nyberg e Fyodor Yurchikhin al Gagarin Cosmonaut Training Center, in Russia. I tre si sono sottoposti a esperimenti dentro centrifughe che riproducevano i cambiamenti di gravità durante le fasi di decollo e di volo e hanno vissuto dentro un simulatore indossando una serie di sensori che ne monitoravano costantemente le condizioni fisiche. Parmitano ha inoltre imparato a muoversi con l’ingombrante tuta che avrebbe indossato più tardi nello Spazio, durante le due Eva (Extra Vehicular Activity) programmate per lui. E, finalmente, è arrivato l’ok per la missione. I tre sono stati dichiarati idonei alla partenza. Non stavano più nella pelle.

Il decollo. “Anni fa lessi il libro Caos calmo di Sandro Veronesi, e credo il titolo si adatti bene al mio stato d’animo attuale”. Diceva così, Luca Parmitano, alle 9:30 del mattino del 28 maggio 2013, quando mancavano pochissime ore al decollo. “Il mio focus è sulla partenza. Le procedure cominciano ore prima: inizialmente un controllo medico, poi speciali procedure igieniche per evitare di portare i “nostri” batteri a bordo della Iss”. Ancora qualche momento per il brindisi e la benedizione da parte del prete ortodosso di Star City. E poi si comiciò a fare sul serio. Alle 22:31 ora italiana la navicella russa Soyuz decollò dal cosmodromo di Bajkonur, Kazakistan, accompagnata da un coro di godspeed da tutto il mondo.

A bordo della Iss: Volare. Non è stato propriamente un viaggio di piacere, quello di Luca Parmitano. A bordo della Stazione spaziale internazionale il maggiore ha preso parte a circa una ventina di esperimenti scientifici per conto dell’Agenzia Spaziale Europea, sui temi più diversi: biologia, fisica, psicologia, alimentazione. Senza contare le manovre del braccio robotico della stazione e il programma Green Air, due esperimenti di ideazione italiana per la rilevazione in aria di particelle di piccole dimensioni e per l’analisi di un biocombustibile. Temperatura corporea e melatonina dell’astronauta sono stati costantemente monitorati, per studiare l’influenza della permanenza nello Spazio sui ritmi circadiani e sulle emicranie che da sempre affliggono i cosmonauti. Parmitano ha raccolto periodicamente campioni della propria epidermide per analizzarne l’invecchiamento e ha preso parte all’esperimento sul dispendio energetico del corpo in orbita, registrando tutto quello che mangiava e beveva, le sue attività fisiche e il consumo di ossigeno. In una parola , Volare questo il nome della missione dell’Esa.

Le emozioni e la vita quotidiana. Parmitano è stato un grande comunicatore. Dal suo blog e dai social network ci ha raccontato, giorno dopo giorno, cosa si prova a 400 km di quota. “Non è uno spettacolo per cui l’uomo è pronto”, ha scritto. “Non si può descrivere a parole. La Terra, vista dallo Spazio, è un vero gioiello”. Ci ha raccontato della sua vita quotidiana, della dieta che seguiva a bordo, dei rapporti con i colleghi. Era sulla Iss da pochissimo tempo ma si dichiarava già “pronto a qualsiasi nuova missione”. Ha confessato la nostalgia per la famiglia (e per la doccia – dato che lavarsi a gravità zero non deve essere il massimo del comfort). E si è rammaricato per il poco cibo italiano a disposizione: “Mi è rimasta solo una lasagna, che mangerò una domenica per ricordarmi i pranzi sulla Terra, e un tiramisù”. Che poi ha cavallerescamente ceduto alla collega Karen, “particolarmente golosa del dessert”.

Le passeggiate spaziali e l’incidente. Tra una lasagna e l’altra, Parmitano ha trovato anche il modo di battere un record. È stato il primo italiano a passeggiare nello Spazio. Per ben due volte. La prima Eva è avvenuta il 9 luglio 2013: alle 14:45 ora italiana Skywalker ha lasciato la base sicura e si è avventurato a piedi (metaforicamente parlando, naturalmente) nello Spazio profondo. Scorrazzandovi per circa sei ore e mezza – anche in questo caso “all work and no play”, dato che l’astronauta è stato impegnato nella manutenzione e nell’installazione di nuovi componenti per la Stazione. Il 29 agosto 2013, il secondo appuntamento. Ancora più importante, perché Parmitano sarebbe stato il primo a uscire – cioè, in sostanza, il coordinatore di tutte le operazioni extraveicolari. Stavolta, putroppo, qualcosa andò storto. Un’infiltrazione d’acqua – oltre un litro e mezzo – dentro il casco. “Mi sentivo come un pesce dentro una boccia”, racconta Parmitano. All’inizio, tutto sembrava andare bene. Il lavoro procedeva spedito, addirittura in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Poi, in pochi minuti, il grande spavento: “Mi sono accorto che qualcosa non era in ordine. La sensazione inattesa di acqua sulla nuca mi sorprese – e mi trovavo in un posto in cui avrei preferito non avere sorprese”. Fortunatamente, l’incidente si risolse senza conseguenze. Ma l’attività extraveicolare, naturalmente, dovette essere abortita. Ma fu comunque un insegnamento importante. “Lo Spazio è una frontiera dura e inospitale, in cui siamo ancora degli esploratori e non dei coloni. La bravura dei nostri ingegneri e la tecnologia che abbiamo a disposizione fa sembrare semplici cose che non lo sono, e a volte forse lo dimentichiamo. Meglio non dimenticare”.

Via: Wired.it

Credits immagine: NASA/Carla Cioffi

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