Società

Quanto è universale la parola “amore”?

Quando diciamo I love con amore? E lo rappresentiamo mentalmente nello stesso modo? A porre queste domande è un gruppo internazionale di ricercatori che ha mappato, attraverso un nuovo metodo comparativo linguistico, la percezione delle emozioni espresse in lingue diverse. E la risposta è no, ci sono delle differenze sia culturali sia linguistiche nella rappresentazione delle emozioni. I risultati sono pubblicati su Science.

Lo studio include dati di 2.500 lingue ed è sicuramente uno dei più vasti a indagare la rappresentazione concettuale delle emozioni. I ricercatori hanno potuto raggruppare tutte le lingue in cinque grandi categorie, per poter effettuare un confronto e rilevare differenze: le lingue indoeuropee, lingue caucasiche nordorientali, lingue austronesiane e austroasiatiche, lingue daiche (Indocina).

Un nuovo metodo comparativo

L’analisi si è servita di un nuovo metodo comparativo utilizzato in linguistica che misura la variabilità e la struttura dei significati associati alle parole. Questo metodo si fonda sulla cosiddetta colexification, un fenomeno per cui una stessa parola assume più di un significato. La parola “grande”, per esempio, ha una valenza quantitativa (dimensioni) oppure qualitativa, (importanza), associata a una cosa o a una situazione. Altro esempio: “sentire” può significare sia ascoltare che percepire.

I ricercatori si sono chiesti se questa sovrapposizione di significati per una singola parola valga anche per le emozioni e in che modo questo fenomeno si verifichi nelle diverse famiglie di lingue considerate. E hanno scoperto che lingue diverse descrivono emozioni diverse: la “fear” – paura inglese (o americana) – non è proprio la stessa “takot” della lingua filippina (gruppo austronesiano) o la stessa “ótti” dell’Islanda (lingue indoeuropee). Ma ci sono delle sfumature di significato e dei concetti differenti associati a seconda della lingua parlata.

Le parole delle emozioni, i risultati

In particolare, gli autori hanno osservato che è tutta una questione di geografia: zone geografiche vicine tendono ad associare rappresentazioni concettuali simili alle parole che esprimono un’emozione. Nelle lingue indoeuropee, ad esempio, paura e sorpresa sono generalmente collegate a rappresentazioni mentali e a sensazioni differenti. Mentre nelle lingue austronesiane (Oceania, isole del Sud-est asiatico, Formosa e Madagascar) paura e sorpresa sono molto vicine. E nelle lingue daiche il concetto (e la parola) sorpresa è associata all’idea di speranza e desiderio. Nell’immagine seguente le differenze rappresentate in colori diversi.

Crediti: T. H. Henry

La parola “amore”

Uno dei più grandi misteri, inoltre, rimane l’uso della parola “amore”. Sicuramente il termine evoca sensazioni molto positive in tutte le lingue, ma con sfumature e accezioni di significato molto diverse. Ad esempio, nelle lingue austronesiane la parola amore spesso si confonde (è colexificata) con il concetto di compassione e di rimpianto – una sovrapposizione di senso generalmente assente nelle lingue indoeuropee. Insomma, l’uso della parola amore ove è ancora da studiare.

Emozioni, gli elementi universali

Ma in generale ci sono degli elementi universali, condivisi da tutte le lingue. Ad esempio, le emozioni legate a felicità, speranza, amore e desiderio sono quasi sempre connotate come positive e associate a sensazioni piacevoli. Allo stesso modo, la tristezza è rappresentata come spiacevole e corrisponde a un basso livello di eccitazione e per questo non è quasi mai affiancata alla rabbia, che invece presuppone un alto grado di eccitazione.

L’impressione degli autori è che l’esperienza umana delle emozioni sia determinata non solo dall’evoluzione ma anche dalla cultura e dalle parole utilizzate per descriverle. “Questi grandi network di associazione delle parole non solo ci aiuteranno a studiare il modo in cui gli esseri umani danno significato a concetti diversi – sottolinea Kristen Lindquist dell’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill. “Ma possono anche far luce sulle differenze culturali associate ai diversi significati”.

Riferimenti: Science

Viola Rita

Giornalista scientifica. Dopo la maturità classica e la laurea in Fisica, dal 2012 si occupa con grande interesse e a tempo pieno di divulgazione e comunicazione scientifica. A Galileo dal 2017, collabora con La Repubblica.it e Mente&Cervello. Nel 2012 ha vinto il premio giornalistico “Riccardo Tomassetti”.

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