Patrie galere

Stefano Anastasia, Patrizio Gonnella
Patrie galere
Carocci Editori, Roma 2005
pp.143, euro 15,90

Il sovraffollamento delle carceri italiane è una realtà talmente evidente che da tempo non passa più inosservata. Di recente La Repubblica ne ha fatto oggetto di un’inchiesta a puntate da cui sono emersi, in tutta la loro gravità, i disagi provocati da un’eccedenza di 14.000 persone rispetto alla capienza regolamentare. Ma da chi sono popolati i 200 istituti penitenziari esistenti sul nostro territorio? Dei 56.000 detenuti, 20.000 sono persone in attesa di giudizio, 15.000 sono tossicodipendenti, più di mille alcooldipendenti, quasi 20.000 gli stranieri. Questa la fotografia che Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella (entrambi di Associazione Antigone) consegnano ai lettori di “Patrie Galere”, descrizione di un “viaggio nell’Italia dietro le sbarre” ricco di dettagli inquietanti. E non solo per i numeri, riportati con estrema chiarezza in un’appendice all’inizio del volume, che vengono commentati al di là della curiosità statistica, ma soprattutto perché gli autori si sono preoccupati di far conoscere gli aspetti meno noti e più drammatici della vita di un detenuto.Dall’ingresso all’uscita, chi è sottoposto a un regime di detenzione deve necessariamente imparare le regole che vigono nella società carceraria. Non parliamo del regolamento interno, di cui ogni istituto dovrebbe consegnare una copia ai detenuti in ingresso, nelle varie lingue di appartenenza, (procedura non molto diffusa), ma di un codice di comportamento vago e improvvisato che regge i rapporti tra le persone dietro le mura (poliziotti, medici, educatori…). Uno sbaglio nell’approccio con il matricolista all’ingresso del carcere può, per esempio, ripercuotersi sui restanti giorni di detenzione, così come a scuola la prima interrogazione andata male può condizionare l’intera carriera di uno studente. Molto più rigidi e difficilmente equivocabili, ma altrettanto incomprensibili, sono i provvedimenti presi dai singoli direttori, il più delle volte dopo tentativi di evasione o episodi di violenza, destinati però a pesare per anni sulla già dura quotidianità dei detenuti. Eccone alcuni: no ai libri con la copertina rigida, no ai cappotti (il divieto vigente nel carcere di Pisa fino a poco tempo fa, è stato eliminato grazie alle insistenze di Adriano Sofri), no a più di quattro riviste per detenuto, no a cassette musicali non originali (qualcuno vi aveva inserito della droga). La differenza tra un carcere e l’altro passa anche attraverso queste piccole restrizioni. Ma non solo. Anastasia e Gonnella tracciano alcune ipotesi sul destino dei detenuti che può prendere strade molto diverse, a seconda dell’istituto di detenzione, del reato commesso e delle condizioni di salute. Ecco allora che scopriamo come vive il carcere chi entra in una sezione del 41bis, chi è diabetico e ha bisogno di una dieta speciale, chi in carcere non ci dovrebbe stare perché cardiopatico, malato di Aids o in stato interessante, chi finisce nelle sezioni precauzionali perché è un pentito, o un violentatore e deve guardarsi le spalle dagli altri detenuti, chi viene curato in un ospedale pubblico e chi invece viene trasferito in un centro clinico e terapeutico dell’amministrazione penitenziaria, chi finisce in un ospedale psichiatrico giudiziario (Opg).Sono questi scorci di vita, descritti con voluta semplicità, a fare di “Patrie Galere” un libro che tutti dovrebbero leggere, se non altro per curiosità. Perché in carcere tutto funziona al contrario, l’eccezione diventa la norma e le norme non sono rispettate, a partire da quelle igienico-sanitarie (gli impianti idraulici sono tutti fuori legge, la doccia in cella non c’è quasi da nessuna parte, il bidet, previsto solo nei reparti femminili, è ancora un miraggio). Ma sulle porte delle prigioni non si sono mai visti i nastri dei Nas.

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