Influenza, quali sono state le peggiori pandemie dell’ultimo secolo?

pandemie influenzali
Credit: Library of Congress

Con la pandemia di Covid 19 e le misure di distanziamento che l’hanno accompagnata, gli altri virus stagionali ce li eravamo praticamente scordati. E ora che l’influenza è tornata a colpire inizia a farci paura. L’epidemia di quest’anno è infatti iniziata prima, e sta mettendo a letto un numero anomalo (almeno per il periodo) di persone: in Italia sono arrivate già a oltre due milioni e mezzo, e l’incidenza, con più di 760mila sindromi influenzali o parainfluenzali solo nell’ultima settimana, si sta già avvicinando a quello che di norma è il picco epidemico, che si vede nelle prime settimane del nuovo anno. Se continuerà di questo passo, insomma, si prospetta proprio una brutta stagione influenzale. Fino a che punto è impossibile dirlo. Ma fortunatamente abbiamo vaccini che funzionano, farmaci, e ospedali. Che dovrebbero impedire che raggiunga le proporzioni catastrofiche di alcune delle peggiori pandemia influenzali dell’ultimo secolo. Curiosi di sapere quali? Eccovi qualche esempio.

Pandemie influenzali

Cosa rende particolarmente pericolosa un’epidemia di influenza? Il virus che la causa, naturalmente. Ne esistono quattro tipi, identificati dalle prime quattro lettere dell’alfabeto. Ma sono solo i primi due, A e B, contribuiscono regolarmente alle epidemie stagionali di influenza (e sono per questo inseriti nei vaccini annuali), e solo il tipo A è stato responsabile, per quanto è dato saperne, di pandemie. Secondo il consenso attuale, queste capitano quando il virus – che come sappiamo accumula costantemente piccoli cambiamenti nel suo materiale genetico – va incontro a una mutazione particolarmente radicale, che al contempo rende inutili le difese immunitarie accumulate negli anni dalla popolazione, e dota il nuovo patogeno di un’elevata capacità di infettare gli esseri umani. Quando si è presentata questa tempesta perfetta, il mondo si è trovato ad affrontare una nuova pandemia influenzale.


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La brutta notizia, è che anche quest’anno sembra circolare un nuovo ceppo del virus dell’influenza A. È stato chiamato H3N2 “Darwin”, dai ricercatori che lo hanno isolato per la prima volta in Australia, dove solitamente appaiono i nuovi virus influenzali destinati ad animare le epidemie invernali nell’emisfero boreale. Presenta diverse novità rispetto ai virus del ceppo H3N3 che circolavano negli anni passati, ma per quanto ci sia chi parla anche di una maggiore gravità e capacità infettiva, per ora non ci sono prove che abbia le caratteristiche necessarie per causare autentica, nuova, pandemia influenzale. Anche perché, fortunatamente, la sorveglianza epidemiologica ha funzionato correttamente, ed è uno dei quattro nuovi ceppi virali inseriti dall’Oms nel vaccino antinfluenzale di quest’anno. E verso cui le fasce più deboli (e quindi potenzialmente a rischio) della popolazione dovrebbero risultare, si spera in un’alta percentuale dei casi, protette.

1889–1890, la “Russa”

Niente di tutto ciò, chiaramente, era possibile oltre un secolo fa, quando sul finire dell’800 scoppiò una delle più letali pandemie influenzali dell’ultimo secolo e mezzo. E anche una delle prime ad essere seguita, e raccontata, con costanza dai giornali di mezzo mondo. I primi resoconti della nuova malattia si ebbero nella città di Bukhara, in Uzbekistan, nel maggio del 1889. Da qui il virus impiegò diversi mesi per diffondersi fino a raggiungere San Pietroburgo, dove i primi casi iniziarono ad apparire a novembre. A quel punto, però, sfruttando una rete di trasporti molto più capillare e sviluppata il virus iniziò a correre in tutta Europa: le nazioni del Nord (Svezia, Danimarca e Norvegia) furono raggiunte in poche settimane; a dicembre era già arrivata nell’impero tedesco, in Francia, Italia, Spagna e Regno Unito, e aveva superato l’oceano, colpendo anche le città degli Stati Uniti.

Nei primi mesi del 1890 il virus si era ormai diffuso in tutto il mondo, provocando un numero di vittime elevatissimo. Non esistevano cure e non erano conosciute misure di prevenzione con cui arrestare la circolazione degli agenti virali (la cui esistenza non era ancora riconosciuta completamente dalla comunità scientifica), e alla fine dell’anno seguente, quando finalmente la pandemia perse definitivamente di forza, la malattia aveva fatto circa un milione di vittime in tutto il mondo. Un numero impressionante, soprattutto se si considera che all’epoca l’intera popolazione mondiale non superava il miliardo e mezzo di persone. Sul virus responsabile del disastro esistono ancora alcuni dubbi: le ricerche svolte negli ultimi decenni avevano fatto inizialmente pensare che si trattasse di un nuovo ceppo di H1N1, poi il dito è stato puntato invece verso il sottotipo H3 (forse H3N8), e da ultimo, di recente si è ipotizzato invece che potesse trattarsi di un nuovo coronavirus, non diverso da Sars-Cov-2, soprattutto per alcune caratteristiche epidemiologiche, come la mortalità concentrata quasi unicamente nella popolazione anziana, a differenza dell’influenza che tende a risultare fatale anche nei giovanissimi.

1918–1920, la “Spagnola”

Parlando di vittime, nessuna pandemia influenzale può competere con quella scoppiata al termine della prima guerra mondiale: la tristemente celebre spagnola, che con diverse ondate nell’arco di due anni uccise un numero di persone che si stima compreso tra i 20 e i 100 milioni. Una curiosità in questo caso è quella che riguarda il nome con cui è passata alla storia: non è infatti chiaro dove la pandemia abbia avuto origine, ma avendo iniziato a diffondersi durante gli ultimi mesi di guerra in molte nazioni belligeranti non venne permesso ai giornali di coprire lo scoppio dei casi, potenzialmente dannoso per il morale della popolazione; solo in Spagna, all’epoca neutrale, la malattia venne descritta liberamente dalla stampa, dando l’impressione che si trattasse di un’emergenza locale, e lasciando il nome del paese indelebilmente associato con la pandemia.


#Restoacasa, la lezione dell’influenza spagnola del 1918


Tra le caratteristiche che resero così letale il virus, un nuovo ceppo di H1N1, vi furono ovviamente la mancanza di terapie e di norme igieniche adeguate al contenimento, unite all’alto numero di soldati contagiati sul fronte, e poi tornati nei propri paesi a causa di ferite, della malattia, o al termine della guerra. A questo va aggiunto un comportamento anomalo del virus, che pur non risultando più patogenico di un normale virus influenzale, si rivelò particolarmente capace di indurre risposte immunitarie eccessive simili a quelle viste nelle prime fasi dell’epidemia di Covid 19, e quindi tempeste letali di citochine che in quel caso colpivano con particolare facilità giovani adulti, altrimenti in buona salute.

1957-58, l’“Asiatica”

Continuando la sua evoluzione, il virus dell’influenza A arrivò al prossimo grande salto evolutivo con la comparsa del nuovo sottotipo H2N2. L’entrata in scena del nuovo virus si ebbe nel 1956, con lo scoppio di un’epidemia influenzale nella provincia di Guizhou, nel Sud della Cina, da cui la malattia si sarebbe diffusa rapidamente fino ad acquisire, nuovamente, proporzioni pandemiche. A metà del 1957 il virus si era ormai diffuso in tutto il territorio cinese, e aveva raggiunto Singapore, dove venne intercettato per la prima volta anche dal sistema di sorveglianza dell’Oms (di cui la Repubblica Popolare Cinese all’epoca non faceva parte).

Nei mesi seguenti la pandemia si espanse in diverse nazioni asiatiche, a giugno era arrivata nel Regno Unito e negli Usa. E nella seguente stagione fredda fu protagonista di una seconda ondata, particolarmente letale perché riguardo principalmente persone in avanti con gli anni. A contenere la conta dei morti, in questo caso, ci pensò un vaccino, che venne sviluppato in tempi record nel 1957, salvando (si stima) centina di migliaia di vite nel corso dell’inverno e degli anni seguenti.

1968, “Hong kong”

Anche in questo caso, tutto ha avuto inizio da una mutazione. O più probabilmente, una serie di mutazioni che hanno portato il sottotipo H2N2 dell’influenza A a trasformarsi in un nuovo virus: H3N2. Abbastanza diverso da dare il via ad una nuova pandemia. Ma ancora sufficientemente simile al virus che aveva circolato appena un decenni prima, da garantire probabilmente una qualche protezione alle persone che erano state esposte al suo predecessore. Un particolare che potrebbe aver contenuto il numero di vittime, comprese tra i due e i quattro milioni a livello globale. La pandemia venne intercettata ad Hong Kong, all’epoca ancora un protettorato inglese, e grazie all’elevatissima densità abitativa della città raggiunse il picco di casi in città in appena due settimane. Nell’arco dell’anno, e del successivo, si diffuse il tutto il mondo fino a raggiungere anche Africa e Sud America. Negli Usa venne sviluppato rapidamente un vaccino, che però divenne disponibile solo a picco epidemico ormai superato, e venne venduto in altre parti del mondo dove trovo comunque un utilizzo limitato. Il virus rimase quindi in circolazione negli anni seguenti, provocando diverse stagioni particolarmente letali di epidemie influenzali. Come accennavamo, H3N3 fa ancora parte dei sottotipi virali che compongono le epidemie stagionali di influenza, e potrebbe rivelarsi nuovamente protagonista proprio in quella di quest’anno.

via Wired.it

Credit immagine: Library of Congress