Basta uno sguardo. Veloce, di sfuggita, in penombra, ma basta. A riconoscere la faccia di qualcuno siamo bravissimi. Un’abilità che abbiamo sviluppato non a caso, vista l’importanza che il riconoscimento facciale ha sui nostri rapporti sociali e nella comunicazione. Ma a volte questo meccanismo si inceppa, come in chi soffre di Alzheimer che stenta a riconoscere anche il volto dei propri cari, perché? A rispondere alla domanda è oggi uno studio pubblicato su Journal of Alzheimer’s Disease secondo cui la malattia colpisce non solo la memoria ma anche le capacità di riconoscimento facciale.
Come spiegano i ricercatori guidati da Sven Joubert del Centre de recherche de l’Institut universitaire de gériatrie di Montréal, a capo dello studio, la capacità di riconoscere le facce è dovuta a un meccanismo di percezione olistica. Ovvero: percepiamo (e riconosciamo) la faccia come un insieme, un tutt’uno. Un’abilità diversa da quella che ci permettere di cogliere i dettagli per esempio del taglio degli occhi o dell’espressione della bocca. E secondo il team di Joubert sarebbe proprio questa abilità a essere compromessa nelle persone con Alzheimer.
A suggerirlo i risultati di un esperimento in cui persone con la malattia e non dovevano riconoscere immagini di facce o automobili, dritte o capovolte. I ricercatori hanno così scoperto che se nessuna differenza veniva osservata tra malati di Alzheimer e gruppo di controllo per quel che riguardava l’analisi delle immagini di automobili e facce capovolte lo stesso non avveniva con la percezione dei volti dritti: “Le persone con Alzheimer erano più lente e facevano più errori del gruppo controllo”, ha spiegato Joubert: “Questo ci suggerisce che il sistema di riconoscimento olistico delle facce, in particolare, diventi compromesso con la malattia. Infatti i malati riconoscono le automobili, un compito per il quale in teoria non è richiesto un processo olistico”.
Sembrerebbe, continua il ricercatore, che il problema sia dunque in modo particolare con le facce in sé (dritte). Problema che si osserva anche negli stadi precoci della malattia e che non sarebbe dovuto solo a problemi di memoria generici di chi soffre di Alzheimer. Motivo per cui, concludono gli autori, si potrebbe immaginare di aiutare le persone a riconoscere i propri cari puntando su strategie che potenzino il riconoscimento di voci o tratti particolari del volto.
Riferimenti: Journal of Alzheimer’s Disease DOI: 10.3233/JAD-151027
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