Perché si studiano le nuvole

Marzo, primavera, sole, alberi fioriti. E invece no: marzo, pioggia, neve e gelo, come insegna la cronaca degli scorsi giorni. Il tempo, si sa, è imprevedibile e le previsioni hanno un margine di incertezza. Alcuni fattori fondamentali, che sono importanti non solo nel tempo meteorologico ma a lungo termine anche nel clima, sono estremamente difficili da studiare. Tra questi ci sono le nuvole. Oggetti così misteriosi da interessare persino il Cern, dove l’esperimento Cloud cerca di far luce sui meccanismi di formazione delle nuvole e di capire il loro ruolo sul cambiamento climatico (una previsione globale a lungo termine).

Ma al Cern non sono gli unici a interessarsi di nuvole: il team di David Romps della University of California di Berkeley, per esempio, dal 2011 si è concentrato sullo studio della velocità verticale delle nuvole, ovvero indaga il modo in cui queste masse si innalzano nel cielo, mentre quello di Yen-Ting Hwang della University of Washington, come racconta The Verge, studia l’importanza delle nuvole nei sistemi di previsione meteo per le zone tropicali.

Capire la dinamica delle nuvole non è importante solo per le previsioni a breve termine, come spiega lo stesso Hwang: “Quanto caldo diventerà il clima dipenderà in gran parte da come le nuvole cambieranno in futuro”. Ma simulare il loro comportamento, e di qui quello del clima, è tecnicamente molto difficile. Gli stessi Global Climate Models con cui molti climatologi studiano gli effetti dell’aumento delle emissioni di CO 2 a livello globale attraverso analisi complesse su supercomputer sono limitati, modellando per lo più fenomeni atmosferici molto grandi (intorno ai 100 chilometri). Le nuvole invece sono oggetti relativamente piccoli, dell’ordine del chilometro, che richiedono sistemi di simulazione tagliati su scala.

Ragion per cui negli ultimi tempi gli sforzi per colmare questo gap sono aumentati, cercando di mettere a punto dei sistemi che modellino il comportamento delle nuvole come piccolo fenomeno atmosferico, che lavorino a partire dai dati di temperatura e umidità di una singola colonna d’aria, per esempio collezionando informazioni reali acquisiti da satelliti e aeroplani.

L’idea quindi è quella di lavorare su piccoli modelli per integrarli su quelli a scala più grande, così da migliorare anche anche le previsioni. Perché capire il comportamento delle nuvole significa anche capire meglio quanto davvero le temperature potrebbero innalzarsi nei prossimi anni (un range variabile, secondo gli attuali modelli, basati su un raddoppio delle emissioni rispetto ai livelli preindustriali, tra gli 1,5°C e i 4,5°C). Perché, come spiega Romps, “che ci piaccia o meno vedremo presto quali sono stati gli effetti dell’ aumento della CO2 sul nostro pianeta. Ma ci piacerebbe avere qualche previsione prima che questo accada”.

Via: Wired.it

Credits immagine: Werner Kunz/Flickr

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