Pericolo biopirateria

Un saccheggio in piena regola, con i paper scientifici a fare da mappa del tesoro. Questo potrebbe essere il destino di alcuni dei “paradisi perduti” ecologici scoperti negli ultimi anni. Lo afferma un gruppo di ricercatori in una lettera inviata alla rivista Science. Secondo la quale la scoperta di nuove specie ed ecosistemi ha un effetto collaterale sconcertante. Quello di scatenare i trafficanti. Che, articoli scientifici alla mano, si lanciano alla ricerca degli animali appena scoperti per rivenderli a migliaia di euro sul mercato del collezionismo illegale.“Molte pubblicazioni scientifiche sono autentiche mappe del tesoro, per i collezionisti” scrivono Bryan Stuart, Ander Rhodin, Lee Grismer y Troy Hansel. Un articolo scientifico deve essere dettagliato. Solo così può essere considerato affidabile e fissare la base per lavori futuri. Tuttavia, le informazioni precise sul luogo della scoperta mettono le nuove specie nelle mani di commercianti senza scrupoli. “Questo genera un “dilemma del doppio uso””, commenta Marianne Somerville, esperta in diritto ed etica della scienza. “Qualcosa di simile all’uso di pubblicazioni scientifiche da parte di bioterroristi”.Gli autori della lettera a Science hanno partecipato alla scoperta della tartaruga “dal collo di serpente” Chelodina mccordi, del geco Gomiurosaurus Iuii, e della salamandra Paramesotrion Laoensis. I primi due furono inizialmente valutati dai collezionisti fra 1500 e 2000 euro. Oggi sono quasi estinti e sono spariti dal loro habitat naturale. Riguardo all’ultima, sono apparse quest’anno guide di cattura pubblicate da collezionisti giapponesi e tedeschi.Il traffico di animali e piante è il terzo mercato illegale dopo quello di armi e di droga, secondo Traffic Italia, una organizzazione legata al Wwf e al Cites (Convenzione sul commercio internazionale delle speci di fauna e flora in via di estinzione). I canali sono i più doversi. “Internet permette di “accedere” agli habitat di tutto il mondo, specialmente dei paesi in via di sviluppo”, spiega Luisa Corbetta, funzionaria del servizio Cites della Corpo Forestale dello Stato. Altri canali sono le fiere, come quella di rettili di Hamm, in Germania. La fiera è legale, però intorno ad essa se ne sviluppa un’altra, illegale, di specie protette”. E fra le fonti di approvvigionamento non manca il retrobottega di alcuni negozi di animali. “I singoli collezionisti sono persone di grande potere acquisitivo. Il pappagallo protetto Ara Giacinta costava inizialmente 15.000 euro”. Però gli individui coinvolti non sempre agiscono da soli. “Nel 2004 abbiamo scoperto una organizzazione a delinquere che si incaricava di portare animali o trofei di caccia illegali dai paesi dell’est”.Secondo Corbetta, non c’è dubbio che le pubblicazioni scientifiche siano delle fonti d’informazione di prim’ordine per i collezionisti. “A volte si rendono conto delle scoperte prima degli esperti. Addirittura, in certi casi sono loro a scoprire per primi delle specie sconosciute”. L’uso criminale delle pubblicazioni scientifiche non è nuovo. Già negli anni Settanta e Ottanta alcuni privati si erano appropriati di cactacee messicane protette basandosi su articoli tenici. Tuttavia, l’attenzione dedicata a questa forma di biopirateria non è nemmeno comparabile con quella dedicata ad altri “cattivi usi” della scienza, come ad esempio il bioterrorismo. “A volte c’è una certa superficialità persino da parte di alcuni scienziati, che trasportano animali o piante senza chiedere il permesso. Per non parlare del caso di un ricercatore che è sospettato di aver trasportato dei rettili albini messicani per venderli”, aggiunge Corbetta.Secondo Somerville, “bisogna fissare dei limiti alla pubblicità della scienza, attraverso dei principi e dei processi che agiscano al momento della pubblicazione”. Tuttavia, questo porrebbe dei seri problemi per la valutazione della ricerca da parte della comunità scientifica. Allo stesso modo, bloccherebbe lo sviluppo scientifico, impedendo ai ricercatori di generare nuove conoscenze a partire dalle scoperte precedenti. Tuttavia, gli autori della lettera a Science credono che il problema sia un altro. Il punto più debole della catena di protezione degli animali è il vuoto giuridico fra la scoperta e la fissazione di norme e pratiche di tutela. “Come i collezionisti controllano le pubblicazioni scientifiche, gli scienziati possono controllare i collezionisti”. Per esempio, è facile prevedere che se apparissero nuovi tipi di tartarughe Chelodina o di gechi Gomiurosaurus, i collezionisti si lancerebbero alla loro ricerca. “I tassonomi dovrebbero lavorare in contatto con le agenzie governative per coordinare pubblicazione, legislazione e azioni di protezione, anche se questo dovesse allargare un poco i tempi di pubblicazione”.

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