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Plasticità neurale: così il cervello torna giovane

Gli scienziati la chiamano plasticità neurale ed è la capacità dei circuiti nervosi di modificarsi in risposta agli input esterni, ovvero di modellarsi sulla base delle esperienze vissute. E’ particolarmente attiva nei primi anni di vita, nel cosiddetto periodo critico, quando il cervello assorbe continuamente nuove informazioni, sviluppa diverse capacità – dal linguaggio alle funzioni sensoriali – e si rivela in grado di recuperare lesioni cerebrali molto meglio e molto più in fretta di un cervello adulto. Con la fine dello sviluppo, infatti, la plasticità neurale comincia a venir meno. Un’equipe di ricercatori dell’Istituto di Neurofisiologia del Cnr di Pisa ha però scoperto che alterando nei ratti adulti la composizione biochimica della matrice extracellulare, una sorta di rete che circonda i neuroni della corteccia visiva, questi recuperano plasticità. Diventano, cioè, nuovamente capaci di ricostituire le connessioni sinaptiche.

La scelta di concentrarsi sulle cellule nervose corticali coinvolte nella visione non è casuale in quanto, come spiega Nicoletta Berardi, coautrice della ricerca pubblicata su Science e docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Firenze, il modello classico di plasticità dipendente dall’esperienza è costituito proprio dalla cosiddetta plasticità della dominanza oculare.

Dottoressa Berardi, può spiegarci esattamente cosa significa?

“La dominanza oculare è una misura di quanto le cellule corticali visive rispondono alla stimolazione dell’uno o dell’altro occhio. Nella corteccia visiva, le cellule sono in gran parte binoculari, ovvero rispondono alla stimolazione di entrambi gli occhi anche se la stimolazione di uno dei due evoca una risposta maggiore (occhio dominante). Normalmente, un ugual numero di cellule della corteccia visiva è dominato dall’occhio destro e da quello sinistro. Lo sviluppo della dominanza oculare è particolarmente sensibile ad alterazioni dell’esperienza visiva, con un periodo critico che nell’essere umano dura circa 7-8 anni. Se durante questo periodo la visione di un occhio è compromessa, per esempio a causa di difetti di refrazione o a cataratta, la dominanza oculare delle cellule corticali si modifica drammaticamente. Si ha una notevole riduzione del numero di cellule che rispondono alla stimolazione dell’occhio deprivato della visione e un aumento di quelle che rispondono all’occhio non deprivato. Le capacità visive dell’occhio deprivato si indeboliscono e, se il difetto non viene corretto entro la fine del periodo critico, l’indebolimento diventa irreversibile, dando luogo al fenomeno noto come ambliopia o occhio pigro, un occhio cioè che fin dalla nascita o dall’età pediatrica non ha maturato tutte le strutture visive presenti dall’occhio al cervello”.

In che modo dunque siete riusciti a far recuperare la plasticità neurale della corteccia di topi adulti?

“Premesso che i fattori che determinano il declino della plasticità corticale alla fine dei periodi critici non sono ancora tutti noti, gli esperimenti da noi effettuati sui ratti hanno dimostrato che alcuni componenti della matrice extracellulare, e in particolare i Condroitin solfato proteoglicani (Cspg), si sviluppano in coincidenza con la chiusura del periodo critico e inibiscono la plasticità corticale. Infatti la loro rimozione dalla corteccia visiva adulta mediante un’iniezione dell’enzima Condroitinasi Abc ha riattivato la plasticità della corteccia adulta. La nostra ipotesi è quindi che i Cspg costituiscano un freno alle modificazioni strutturali, alla formazione di nuove connessioni sinaptiche o al riarrangiamento di quelle già esistenti, due processi alla base proprio della suddetta plasticità”.

Nello studio si legge che gli animali sono stati allevati nella completa oscurità dalla nascita fino al famoso periodo critico. Perché e con quali gli effetti?

“L’allevamento al buio, ovvero la completa mancanza di esperienza visiva, determina un permanere delle connessioni corticali visive in uno stato immaturo, così che sono ancora suscettibili a modificazioni dell’esperienza visiva anche dopo la fine del normale periodo critico. Tuttavia, se la mancanza di esperienza visiva si prolunga troppo, il periodo critico si chiude comunque, le connessioni si stabilizzano in maniera non corretta e la funzione visiva risulta anormale”.

L’enzima in questione, il Condroitinasi Abc, era già conosciuto per le sue capacità di riparare in parte le lesioni del midollo spinale. Ora si dimostra in grado di riattivare anche la plasticità della corteccia visiva. Come si collegano, a livello cerebrale, queste due potenzialità?

“Sono due aspetti strettamente collegati. Infatti, i Cspg non permettono la rigenerazione assonale in seguito a lesione (gli assoni sono i canali che portano all’esterno i segnali del neurone, N.d.R.), per cui la loro rimozione mediante quest’enzima di origine batterica promuove la rigenerazione e facilita il riparo di lesioni nel midollo spinale. Il fatto che la Condroitinasi Abc riattivi anche la plasticità della corteccia adulta suggerisce che i Cspg siano non permissivi anche per i riarrangiamenti strutturali necessari alla formazione di nuove sinapsi in risposta all’esperienza che è alla base della plasticità”. Quali i potenziali vantaggi terapeutici sull’essere umano del vostro studio? “Dal momento che i Cspg sono presenti in tutto il sistema nervoso centrale, agire in modo da favorire la loro degradazione potrebbe essere una strategia potenzialmente promettente per promuovere meccanismi plastici, così da stimolare il recupero di danni neurologici”.

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