Pomodori "all'arrabbiata" per produrre capsaicina

Aciduli gli uni, piccanti gli altri. Succosi i primi, compatti i secondi. Eppure pomodori e peperoncini sono più simili di quanto sembri, almeno dal punto di vista evolutivo. Si tratta infatti di specie imparentate, il cui ultimo antenato comune è vissuto sulla Terra circa 19 milioni di anni fa. Per questo motivo, le due piante condividono ancora moltissimi geni all’interno del loro DNA: rimasugli dell’evoluzione che in molti casi non sono più espressi dalla pianta durante lo sviluppo, ma che nelle mani degli scienziati possono rivelarsi estremamente utili. Un team di ricercatori dell’Università di Viçosa, in Brasile, pensa per esempio di poter ingegnerizzare la pianta del pomodoro per farle produrre frutti piccanti contenenti capsaicina, esattamente come i peperoncini, ma ben più grandi e ricchi di polpa. Un progetto, descritto sulle pagine della rivista Trends in Plant Science, le cui conseguenze andrebbero ben oltre il semplice utilizzo alimentare.

Tutti gli usi della capsaicina

Tutti conoscono l’effetto del peperoncino sulle nostre papille gustative, ma il piccante frutto ha molto da offrire anche fuori dalla cucina. Ad esempio, può essere utilizzata per ricavare analgesici, alleviando quindi il dolore invece che provocarlo. Il composto chimico responsabile della piccantezza è conosciuto come capsaicina e viene appunto utilizzato in unguenti, cerotti e altri prodotti medici per lenire dolori. Ha anche proprietà antibiotiche, ed è anche l’ingrediente principe degli spray urticanti per la difesa personale tristemente noti alle cronache.

Pomodoro e peperoncino, due scelte evolutive

Per facilitare la produzione di capsaicina e la sua diffusione in campo medico e industriale, i ricercatori brasiliani propongono una strada completamente nuova: modificare geneticamente il pomodoro. Una pianta che garantisce raccolti ben più abbondanti del cugino peperoncino. E non è difficile capire perché se si guarda alla differente evoluzione delle due piante. Il peperoncino sembrerebbe infatti aver scelto una strategia difensiva nel corso della sua evoluzione, sviluppando la sua caratteristica piccantezza per difendersi dai piccoli mammiferi, e preferendo invece degli animali che disperdono nell’ambiente molto più efficacemente i semi, ovvero gli uccelli, che risultano infatti immuni alla capsaicina. Il pomodoro dal canto suo sembra aver fatto la scelta contraria: rendersi appetibile per tutti gli animali che possono disperderne i semi. È per questo, probabilmente, che nel corso dell’evoluzione ha sviluppato frutti più nutrienti e carnosi, e oggi si rivela ben più facile da coltivare e raccogliere rispetto al cugino piccante.

Riattivare i geni dormienti

Nonostante i 19 milioni di anni che dividono le due piante, spiegano i ricercatori nel paper, nel pomodoro sono ancora presenti gli stessi geni responsabili della produzione della capsaicina nel cugino peperoncino, ma in uno stato “dormiente” in cui non hanno modo di essere attivati autonomamente. Se gli scienziati riuscissero nel loro intento, ovvero riattivare questi geni, sarebbe quindi possibile produrre con facilità capsaicina in grandi quantità per scopi commerciali. Oltre alla già citata produzione di analgesici, la molecola viene anche impiegata per ridurre i sintomi della neuropatia periferica, una patologia del sistema nervoso, e, come accennato, per produrre spray urticanti. Questi pomodori piccanti finiranno anche nelle nostre cucine? Staremo a vedere.

Riferimenti: Trends in Plant Science

Credit immagine: Emmanuel Rezende Naves

Francesco Pettini

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