Sono microscopiche ma le loro potenzialità sono enormi. Le nanotecnologie stanno velocemente conquistando sia il mondo della ricerca di base che l’industria. Proprio per fare il punto della situazione ricercatori e imprenditori italiani si sono dati appuntamento il prossimo 9 luglio a Bergamo. Dove nel corso del convegno “Le nanotecnologie nei settori della meccanica e dei materiali – prospettive di sviluppo industriale” discuteranno del complesso di tecniche e processi che permettono, o lo faranno in futuro, di manipolare con precisione la materia a livello atomico e molecolare, modificando la struttura intima dei materiali e quindi le loro proprietà. La ricerca sulle nanotecnologie sta rapidamente diventando uno dei più importanti settori di investimento in tutto l’Occidente. L’amministrazione Bush ha destinato quest’anno più di 600 milioni di dollari a questo settore. La cifra è pari al 43 per cento del budget complessivo della ricerca, eppure c’è chi non la giudica ancora sufficiente. Proprio il mese scorso, l’Accademia delle Scienze statunitense ha lanciato un appello chiedendo che siano destinati più fondi al settore, e che siano istituiti comitati di esperti composti da rappresentanti dell’università e dell’industria. L’Europa non è da meno: tra finanziamenti pubblici e privati si prevedono, secondo fonti della Commissione Europea, investimenti per circa un miliardo e mezzo di euro nei prossimi cinque anni. Ma quali benefici ci si attende da questo settore? Bisogna credere a chi, come il guru delle nanoscienze Eric Drexler, (www.foresight.org) le descrive come la nuova grande rivoluzione destinata a cambiare radicalmente la condizione umana, che permetterà, per dirne una, la colonizzazione dello spazio? Secondo Milani, le nanotecnologie rappresentano soprattutto un mezzo per migliorare processi industriali già esistenti. Nel giro di tre-cinque anni, si prevedono importanti applicazioni nel settore dei materiali nanostrutturati, basati sulla miscela di particelle nanometriche (cioè dell’ordine di un miliardesimo di metro) di diverse sostanze, che permetteranno la realizzazione, per esempio, di giubbotti anti-incendio o di leghe ultraresistenti da utilizzare nell’industria automobilistica. Le nanotecnologie, inoltre, saranno utili per combattere l’inquinamento. Come? Attraverso la produzione e lo stoccaggio di energia con basso impatto ambientale oppure di composti in grado di purificare le acque. Altre importanti applicazioni si attendono, naturalmente, nel campo dell’informatica: dischi magnetici, microchip, memorie Ram vedono già oggi aumentare esponenzialmente le loro prestazioni grazie alla miniaturizzazione estrema. Questa si realizza per lo più con un approccio ‘top-down’, in cui si utilizzano macchine macroscopiche per produrre oggetti sempre più piccoli: un tipo di procedura destinata a scontrarsi con dei limiti fisici, e prima ancora con dei limiti di costo. Per i prossimi anni, la sfida è passare a processi ‘bottom-up’, cioè basati sull’autoassemblaggio di atomi e molecole.Anche l’Italia ha deciso di puntare su questo settore, il governo lo ha infatti indicato come uno dei quattro settori strategici su cui investire nel Programma nazionale della ricerca. “Ma la situazione è difficile da decifrare, ci sono molte iniziative ma non hanno ancora la sistematicità degli Usa”, dice Paolo Milani, ricercatore dell’Università degli Studi di Milano e dell’Istituto Nazionale di Fisica della Materia. La ricerca nostrana si concentra in Lombardia dove l’Università del capoluogo insieme al Politecnico sta avviando un Centro per lo sviluppo di materiali nanostrutturati presso il Polo per l’innovazione tecnologica di Dalmine, nei pressi di Bergamo. E poi nei centri di eccellenza istituiti dall’Infm: il Nest (National Enterprise for Nanoscience and Technology) di Pisa e il Nnl (National Nanotechnology Laboratory) di Lecce. Esempi di collaborazione fra mondo accademico e industriale grazie al finanziamento pubblico: l’università garantisce l’eccellenza scientifica, gli ‘incubatori tecnologici’ come il polo di Dalmine trasformano gli esperimenti di laboratorio in processi produttivi, per poi presentarsi all’industria con soluzioni già pronte. Negli Usa invece il processo è invertito: è l’industria a fare da propulsore. “In Italia non c’è un’autentica tradizione di ricerca industriale, di collaborazione tra mondo accademico e mondo dell’impresa come quello che negli Stati Uniti ha prodotto, per fare l’esempio più ovvio, la Silicon Valley”, dice ancora Milani. “Il problema è che da noi il tessuto produttivo è costituito per la maggior parte da piccole e medie imprese, che non hanno da sole la capacità di gestire la ricerca. Nel caso delle nanotecnologie il discorso è particolarmente critico, perché sono tecnologie pervasive: non esiste un’industria nanotecnologica, si tratta di singole applicazioni che possono aiutare processi in diversi settori. Tuttavia, negli ultimi anni anche le piccole e medie imprese stanno cambiando atteggiamento verso la ricerca, iniziando a capire che è l’unico modo per rimanere competitivi e reggere il confronto con le aziende del Sud-est asiatico”.