Il devastante terremoto che, con 7,9 gradi di magnitudine sulla scala Richter ha sconvolto la regione cinese del Sichuan il 12 maggio scorso, ha modificato – come era ovvio attendersi – il profilo geosismico della zona. A distanza di due mesi, i ricercatori dello US Geological Survey, della Penn State University e dell’Università della California (Santa Barbara) hanno individuato i siti presenti nelle aree limitrofe resi instabili dall’evento.
I grandi sismi favoriscono il verificarsi di eventi successivi anche in aree lontane perché generano nuovi punti di frattura. Si tratta di un fenomeno del tutto naturale e ben noto. Sebbene sia impossibile prevedere se e quando nuovi eventi si verificheranno, localizzare le aree a rischio può aiutare a preparare le contromisure e a gestire le emergenze.
Attraverso una tecnica già sperimentata in precedenza, chiamata analisi del trasferimento di sforzo, Tom Parsons e collaboratori hanno ottenuto la mappa delle faglie con elevata probabilità di rottura. I dati usati nei modelli consistono in intervalli di valori a causa della difficoltà di ottenere, per il momento, informazioni da quell’area della Cina. Secondo quanto riportato su Nature, il terremoto di Sichuan sembra aver fratturato principalmente la porzione settentrionale della faglia di Beichuan, ai piedi della catena montuosa del Longmen, non lontano dall’epicentro. L’evento avrebbe inoltre aumentato lo stress su altre due faglie più a Nord. Il carico su altre faglie minori a Sud sembra invece essersi alleggerito. (s.s.)
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