Priolo, pericolo futuro

A Priolo il pericolo non è passato: mentre si discute sulla riapertura degli impianti dell’Enichem, rimangono inalterati i veleni che per quasi mezzo secolo hanno impregnato il territorio. Senza risparmiare nulla: dall’aria, al terreno, al mare. Gli arresti dei dirigenti della fabbrica sono solo uno dei risvolti di questa vicenda. I danni prodotti all’ecosistema sono di una gravità enorme, impossibile oggi da quantificare con precisione. Sono in molti, a Priolo, a ritenere che sia stato scoperto soltanto una minima parte dello scempio. Ben altro, e di molto più grave, potrebbe venir fuori. “Piangeremo le conseguenze ancora per decenni. Ci troviamo dinanzi a sostanze organiche stabili e senza una sana opera di bonifica i risultati tarderanno ad arrivare”, è la laconica, quanto autorevole, constatazione di Gaetano Maria Fara, ordinario di Igiene all’Università “La Sapienza” di Roma, epidemiologo di fama internazionale. Se oggi la vicenda di Priolo è balzata agli onori delle cronache lo si deve a due persone: un medico pediatra, Giacinto Franco, e un pretore,Nino Condorelli. Che per 20 anni hanno combattuto a suon di pubbliche denunce.Proprio il pediatra di Priolo che, per primo, su disposizione del pretore, cominciò a studiare i casi di malformazioni nei nascituri e di tumori negli adulti è il più pessimista: “per bonificare la zona è necessaria la collaborazione dei vertici dell’Enichem, perché in quasi mezzo secolo (il petrolchimico è sorto nel 1956) sono stati interrati, in posti a noi sconosciuti, enormi depositi di rifiuti speciali. Non ci diranno mai dove hanno depositato i loro veleni. Non hanno mai collaborato, hanno sempre negato l’evidenza anche quando contestavamo, già negli anni Ottanta, un sensibile aumento di malformazioni nei neonati”. Il monitoraggio “fai da te” dell’area di Priolo cominciò – fra ostacoli e difficoltà operative – alla fine degli anni Settanta quando, dalla rada di Augusta, si levò un tanfo nauseabondo e decine di migliaia di pesci risalirono a galla, gonfi e morti; nello stesso periodo ad Augusta una bambina viene alla luce senza orecchie. In mare gli esami di laboratorio confermarono la presenza di cloro, soda e mercurio. “Fu la prima prova”, dice Franco, “della gravissima contaminazione ambientale”. Animato da tanta buona volontà, il medico, anche dopo la promozione e conseguente trasferimento del pretore Condorelli, continuò la sua battaglia. “Nel 1982 mi recai personalmente al Ministero della Sanità per presentare i primi agghiaccianti dati sull’incremento delle malformazioni. Di fatto, non accadde mai nulla. Basti pensare che dal 1956 al 1985 si è operato senza alcun sistema di depurazione: il quantitativo di sostante inquinanti scaricate in mare e finite nell’atmosfera è spaventoso e, credo, neppure quantificabile”. Passano gli anni e le malformazioni aumentano, come pure i casi di tumori al polmone. Nel 2000 si tocca l’apice: su 534 nati, 28 presentavano malformazioni; cioè a dire il 5,6 per cento. Il triplo rispetto al 2 per cento della media stimata dall’Organizzazione Mondiale della sanità. In prevalenza le malformazioni riguardano l’apparato uro-genitale: al primo posto l’ipospadia (mancata crescita, totale o parziale, della porzione di uretra del pene: patologia che deve, necessariamente, essere corretta con intervento di chirurgia plastica ricostruttiva); in forma minore le malformazioni interessano anche il cuore e il sistema nervoso. “Anche i tumori, polmone e pleura in prevalenza, hanno fatto registrare un incremento costante negli anni, fino a raggiungere nel 2000 il 34 per cento”, spiega Franco. Cadmio, cromo e nichel hanno fatto stragi di polmoni. Giacinto Franco da qualche anno è in pensione. Il monitoraggio delle malformazioni è stato affidato alla divisione di chirurgia pediatrica dell’Università di Catania.A rendere più drammatica la realtà è l’impossibilità di bloccare le conseguenze sulla popolazione anche per gli anni futuri. “E’ necessario, a priori, un attento monitoraggio delle sostanze tossiche presenti nella zona”, spiega Fara. “Il mercurio (il quantitativo riscontrato è 20.000 volte superiore a quello consentito) è soltanto uno dei veleni, ma non è l’elemento più significativo; ci sono ben altre sostanze presenti negli stabilimenti dove si lavora il petrolio”. Sui dati relativi alle malformazioni e ai tumori, Fara, non avendo riscontri scientifici ufficiali diretti, non si esprime. “Ma al di là delle correlazioni ipotizzate e plausibili, la sicurezza per la salute della popolazione è legata alla bonifica del territorio. C’è da lavorare seriamente per anni e anni: bisogna, tanto per cominciare, asportare il terreno contaminato e ricoprire la zona con terra pulita; verificare se i depositi interrati abbiano potuto inquinare sorgenti idriche”. Ma in un territorio dove per far proliferare le industrie petrolchimiche sono stati deviati pure corsi di fiumi, provocando disastri ambientali, è ipotizzabile tanta attenzione e solerzia? “Per impedire il peggio”, conclude Franco, “i dirigenti dell’Enichem dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza e aiutarci prima a ritrovare e poi a neutralizzare i veleni che per decenni hanno profondamente ferito aria, terra e mare”.

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