Quando la scienza difende i diritti umani

Giovanni Sabato
Come provarlo? La scienza indaga sui diritti umani
Laterza 2010, pp. 213, euro 12,00

Buenos Aires, dicembre 1984. La sentenza del tribunale dà ragione a Elsa Pavòn, una delle donne di Plaza di Mayo che ha sostenuto tenacemente per anni di essere la nonna di una bambina che l’anagrafe invece attribuiva a tutt’altra famiglia. Dopo pochi giorni un gruppo di ricercatori pubblica su una rivista americana di medicina forense i risultati di alcuni studi genetici sull’attribuzione della parentela: è l’inizio di una proficua collaborazione tra scienziati e famigliari di desaparecidos che permetterà di ricostruire molti di quei legami di sangue brutalmente spezzati durante la dittatura. Non è un caso che Giovanni Sabato abbia deciso di iniziare proprio dall’Argentina, con il capitolo dedicato a “I bambini rubati”, il suo sistematico racconto sul contributo che la scienza e la tecnologia forniscono alla difesa dei diritti umani. Sulla scelta avrà senza dubbio pesato la sua formazione di genetista, ma più ancora una ragionata valutazione storica: molte tecniche di analisi genetica si sono affinate proprio in risposta alle disperate richieste d’aiuto di quelle abuelas in cerca dei propri nipoti.

Così Sabato ripercorre con estrema chiarezza le tappe del rapido progresso di una disciplina che proprio allora muoveva i primi passi. Si passa dall’esame di un gruppo di proteine (HLA, human leucocyte antigens), il metodo che riuscì a risolvere il primo caso di parentela riconsegnando a Elsa Pavòn la sua nipotina di sei anni ma che fallì in altre circostanze, ai sistemi più precisi basati sull’analisi del Dna mitocondriale e di quello nucleare, fino ad arrivare alla raccolta di campioni di Dna dagli oggetti. Testate sul complesso banco di prova argentino, queste tecniche continuano a rivelarsi utili in molti casi di violazioni di diritti umani. Dal 1989 al 2009, ci fa sapere Sabato in uno dei preziosi box che corredano il libro, il test del Dna ha scagionato negli Stati Uniti più di 240 condannati.

Sì, perché anche il più tenace impianto accusatorio dovrebbe soccombere quando le prove della controparte indossano i panni dell’evidenza scientifica. Eppure non sempre ciò accade. Non sono bastate, per esempio, le documentate analisi di due super esperti per scagionare le cinque infermiere bulgare accusate di avere volutamente diffuso nel 1998 un’epidemia di Aids nell’ospedale libico di Bengasi. Il caso, ricostruito da Giovanni Sabato con una narrazione avvincente (alla Le Carré in veste saggistica), si concluse con la grazia concessa alle imputate dal presidente bulgaro dopo un estenuante iter giudiziario complicato dalle numerose implicazioni politiche e segnato dal rifiuto dei giudici di accogliere i risultati delle indagini di Luc Montagnier, scopritore del virus, e Vittorio Colizzi, immunologo di Tor Vergata.  I due scienziati avevano dimostrato, dati epidemiologici alla mano, che l’infezione tra i bambini ricoverati risaliva a un periodo precedente alla presenza delle infermiere in quei reparti. Ma senza la mobilitazione dell’intera comunità scientifica internazionale che si espose con perentorie richieste di intervento in difesa della verità, la vicenda avrebbe avuto un esito diverso.

Il caso libico ci dice, quindi, che gli scienziati possono fare molto per difendere i diritti umani anche fuori dai laboratori. Soprattutto quando i fatti non sono dimostrabili con inconfutabile oggettività perché lasciano segni sfumati, ambigui e difficili da interpretare. Quali criteri ci dicono per esempio se una persona sia stata o meno vittima di torture? Il “come provarlo?” in questi casi ha varie risposte, e il libro dedica a tutte il giusto spazio riuscendo anche a non trascurare il ruolo delle associazioni umanitarie come Amnesty International e di quelle scientifiche con fini etici come Physicians for Human Rights. È il capitolo senza dubbio più complesso del libro (“I volti imprevisti della tortura”) perché ruota intorno a un concetto, quello di tortura, che, se pur definito da convenzioni internazionali, continua a prestarsi a diverse interpretazioni. E le sfide lanciate a medici e psichiatri non sono affatto banali: dimostrare lesioni fisiche sapientemente occultate dagli aguzzini, provare traumi psicologici di eventi che la vittima fa di tutto per rimuovere, distinguere ricordi veri da immagini irreali. È su questo terreno, sembra dirci Sabato, forse più che altrove, che si misura l’impegno etico degli scienziati.

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