Quando le cellule non comunicano

“La vita è un costante flusso di molecole ed energia” in cui sono importanti le interazioni tra le parti e non semplicemente ogni singola parte o molecola considerata come esistenza individuale. Il riduzionismo, che ancora oggi è il paradigma dominante nel mondo scientifico e che ha portato a un arricchimento sostanziale delle conoscenze umane, va ripensato alla luce di patologie come il cancro, che mostrano sia pur in una chiave negativa, la complessità del vivente. Gli organismi non possono essere pensati come un semplice insieme di organi, ma ognuno di questi acquista, nel contesto in cui è inserito, un’identità del tutto nuova, delle proprietà emergenti. Insomma il vivente ha una complessità che trascende la somma delle singole parti, come una società di formiche ha caratteristiche comportamentali che superano le proprietà di una singola formica. Le proprietà di una cellula, o di un gruppo di cellule coltivate in vitro, non sono mai le stesse che ha entro un organismo: fuori di esso qualunque cellula è decontestualizzata. Per capire il vivente bisogna abbracciare il paradigma della complessità e questo avviene perché il vivente ha il dono della comunicazione. Nei formicai le formiche comunicano tra loro e ciò è il pilastro fondante delle loro società, nel corpo gli organi, o addirittura le singole cellule componenti, comunicano tra loro e ne fanno un sistema adattativo complesso, la cui omeostasi è mantenuta da una serie di meccanismi tampone, perlopiù ridondanti, che scattano come molle ad ogni perturbazione. Il genoma è il “codice di significazione”, cioè il linguaggio del corpo.Il riduzionismo in campo biomedico ha portato alla scoperta di tutta una serie di geni che, se alterati nel contenuto o nella forma, trasmettono un’informazione sbagliata all’organismo, determinando l’insorgenza del cancro. Ma il riduzionismo non ha finora fornito conoscenze sufficienti da usare per vincere la battaglia finale, cioè per sconfiggere la malattia. Il cancro deve esser visto come un comportamento aberrante della complessità organismica e, più precisamente, della comunicazione tra le parti dell’organismo. Le cellule cancerose sfuggono al controllo e deteriorano l’omeostasi, perdono il senso del loro esistere nel contesto globale del corpo di cui fanno parte. Il cancro è quindi una patologia della comunicazione tra cellule, ed è proprio questo che ne determina la difficoltà di cura, infatti le parti del corpo comunicano mediante pathways (cammini) complessi e ancora non del tutto noti. Ma gli autori del testo osano spingersi oltre e definiscono parte della complessità umana il rapporto inscindibile mente-corpo e in questa prospettiva, il tumore diventa un discorso estremo “del corpo sui dolori dell’anima”. È un malato, che poi morirà, a suggerire con una lettera alla scrittrice e psicoterapeuta Maria Rita Parsi di Lodrone – coautrice del testo – questo inquadramento del cancro: “il cancro è stata l’unica forma di ribellione che ho messo in atto, anzi che ha messo in atto il mio corpo”, una forma di delirio del corpo. Il libro, scritto in collaborazione da più autori, non si presta ad una facilissima lettura, soprattutto nella prima parte in cui il fisico e premio Nobel Murray Gell-Mann definisce la complessità. La fluidità della lettura aumenta via via quando diviene chiara la tesi principale degli autori, il cancro come aberrazione della comunicazione e, infine, si arricchisce di pathos nelle ultime pagine in cui viene portata la testimonianza di un paziente, che vede la sua malattia come un mezzo di comunicazione del proprio malessere interiore.

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