Negli ultimi 18 anni, il numero di patogeni che attaccano polli e maiali è aumentato. E il problema è che i microrganismi responsabili di queste infezioni sono molto più resistenti ai farmaci usati per combatterli (gli antimicrobici, di cui gli antibiotici, diretti contro i batteri, sono la classe principale). Lo racconta uno studio pubblicato su Science, che mostra in quali parti del pianeta si stanno concentrando questi focolai e il problema della resistenza agli antimicrobici (antimicrobial resistance, AMR).
A partire dal 2000, la produzione di carne è cresciuta del 68% in Asia, del 64% in Africa e del 40% in Sud America. Questo è stato facilitato dall’espansione di tecniche di produzione intensive, compreso l’utilizzo di antibiotici. Questi, a loro volta, servono a far crescere più rapidamente e a preservare la salute e la produttività degli animali (l’utilizzo degli antibiotici come promotori della crescita è vietato però in molti paesi, in Europa dal 2006). Ma la diffusione di queste pratiche è stata collegata all’aumento, a livello globale, di infezioni resistenti a questi farmaci, alcune delle quali possono essere trasmesse agli esseri umani.
Durante la ricerca, Thomas Van Boeckel e il suo team hanno analizzato i dati di provenienti da oltre 900 analisi sul tema (nel dettaglio point prevalence survey), fotografando quanti animali erano affetti da diversi patogeni, come E. coli e Salmonella, in uno specifico momento. L’obiettivo era mappare le nazioni in via di sviluppo in cui il problema di patogeni resistenti è più marcato. Gli scienziati hanno osservato un chiaro aumento della proporzione di ceppi di patogeni molto resistenti (più del 50% di questi sopravvivono) agli antibiotici nei polli e nei maiali. In questi animali, nel periodo dal 2000 al 2018 la quantità di batteri che non rispondono alle terapia risulta triplicata, mentre nei bovini risulta raddoppiata.
Da un punto di vista geografico, i focolai di queste resistenze sono Cina ed India, che da sole ospitano più di metà dei polli e dei maiali presenti sul pianeta, seguite da Pakistan, Iran, Turchia, Brasile ed Egitto (sul sito resistancebank.org/ una mappa dettagliata). Aree in cui la resistenza sta iniziando ad emergere sono invece Kenya, Marocco ed Uruguay.
Secondo gli autori, queste regioni dovrebbero agire immediatamente e smettere di utilizzare gli antibiotici impiegati anche negli esseri umani per preservarne l’efficacia ed evitare gravi conseguenze sulla salute pubblica di queste nazioni. L’obiettivo è quello di passare a pratiche più sostenibili e meno rischiose per animali e persone. E in questo i paesi più ricchi, che hanno una maggiore esperienza, potrebbero essere d’aiuto. “Le nazioni ad alto reddito – sottolinea Ramanan Laxminarayan, coautore dello studio – dove gli antimicrobici sono utilizzati già dagli anni Cinquanta, dovrebbero fornire supporto per realizzare questa transizione”.
Riferimenti: Science
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