Riconoscere i volti, il cervello non mente

Si può fingere di non riconoscere qualcuno? Secondo uno studio pubblicato su Scientific Reports da alcuni ricercatori dell’Università di Hong Kong, il precuneo sinistro sarebbe l’area del cervello in grado di svelare il riconoscimento di un volto familiare.

Ai fini della ricerca, è stata analizzata tramite fMRI (risonanza magnetica funzionale) l’attività cerebrale di 13 persone, a cui è stato chiesto di osservare dei volti. A ciascuno di essi è stato indicato con un apposito segnale se mentire o meno sul riconoscimento del viso proposto. In ben 11 soggetti, il precuneo sinistro si è attivato maggiormente alla visione di facce familiari. Questa differenza è stata registrata sia quando ai soggetti veniva chiesto di mentire, sia quando veniva loro indicato di dire la verità.

Lo stessa differenza non è stata trovata nell’attività di altre regioni cerebrali che, secondo studi precedenti, intervengono nel processo di finzione. Aree come il lobo parietale inferiore e la circonvoluzione frontale inferiore, sarebbero collegate alla ricezione del segnale verità/bugia durante i test, piuttosto che alla percezione di volti noti.

La possibilità di rilevare la familiarità di un viso tracciando l’attività cerebrale potrebbe essere utilizzata in ambito giudiziario, insieme alle recenti scoperte sul funzionamento del cervello che, sempre più, promettono di cambiare i tribunali. Tra l’altro, le moderne tecniche di neuroimmagine vengono già sfruttate a fini commerciali come rilevatori di verità: negli Stati Uniti almeno due aziende (la No Lie MRI Inc e la Cephos Corporation) forniscono servizi basati sulla fMRI.

Il vecchio poligrafo (meglio noto come macchina della verità) è inattendibile – secondo il report dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti – perché basato su meccanismi fisiologici, quali il battito, la respirazione e la pressione sanguigna, non esclusivamente collegati alla verità delle affermazioni. Al contrario, le neuro-tecniche di lie detection (accertamento della verità) sembrano avere buone possibilità di dialogo con il diritto, senza però trascurare le implicazioni etiche, dunque i limiti, del loro utilizzo in sede processuale.

Credits immagine: Chris JL/Flickr

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