Ridimensionato il Mit italiano

Dopo la forte esposizione (anche mediatica) di un paio di anni fa, non se ne era più sentito parlare granché. Ma ora ritorna alla ribalta con la sua partenza operativa. Si parla dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), la fondazione fortemente voluta nella scorsa legislatura dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con l’intento di creare una sorta di Mit (Massachusetts Institute of Technology) all’italiana “per promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica”. Un progetto nato tra mille polemiche tra chi avvertiva (e avverte) la necessità di un centro del genere per far da ponte tra la ricerca di base e quella applicata (fino a sbocchi commerciali) e chi riteneva (e ritiene) che in Italia istituti e centri di ricerca in grado di svolgere questa funzione esistano già e che non sia il caso di crearne di nuovi, con il rischio di disperdere risorse (non solo economiche). Ora, però, l’Iit (che ha la sede operativa a Genova) sembra cominciare a far sul serio. Nei giorni scorsi, infatti, è stato attivato il network con nove poli scientifici italiani e designato quattro direttori della ricerca: Darwin Caldwell, Jean Guy Fontaine, Giulio Sandini, Fabio Benfenati, attivi nell’ambito della robotica e delle neuroscienze. I direttori si aggiungono al Roberto Cingolani, direttore del Laboratorio Nazionale di Nanotecnolgie dell’Università di Lecce e del Central Research Lab di Genova Morego. Cingolani ha spiegato: “Grazie alle idee, all’impegno e all’esperienza dei direttori di ricerca si darà vita ad un Central Research Lab all’avanguardia, ispirato alle più alte scuole di ingegneria internazionale. Grazie alle attività di questi scienziati e alle relazioni interdisciplinari che stiamo costruendo con altri importanti Istituti ed Enti, questo programma prenderà rapidamente corpo e contiamo di vedere i primi risultati scientifici entro l’anno”.I centri aggregati (che collaboreranno con il Central Research Lab in qualità di unità di ricerca associate, con l’obiettivo di sviluppare il programma dell’Iit nei prossimi cinque anni) sono la Scuola Internazionale di Studi Superiori Avanzati (Sissa) di Trieste, per i metodi computazionali avanzati nelle applicazioni alle neuroscienze; il Politecnico di Milano, per la robotica per gli handicap, il nanobiotech e i dispositivi per la visione; il San Raffaele di Milano, per le neuroscienze; l’Ifom-Semm di Milano, per la nanomedicina; la Scuola Normale Superiore di Pisa, per la biofisica molecolare; la Scuola Superiore S.Anna di Pisa, per la microrobotica; l’Ebri di Roma, per neuroscienze per la meccanica del movimento e meccanismi di apprendimento; l’Università Federico II di Napoli, per i tessuti artificiali; il Laboratorio Nazionale di Nanotecnologia del Cnr di Lecce, per le nanoparticelle per diagnostica e nanobiotecnologie. I centri rispecchiano i programmi di ricerca dell’Iit che partirà su tre diverse piattaforme tecnologiche: robotica, nanobiotecnologie e neuroscienze.“Nelle nostre intenzioni”, ha proseguito Cingolani, “i poli svilupperanno specifiche parti del programma Iit in sinergia con i laboratori centrali di Genova Morego, mettendo a disposizione oltre a competenze di altissimo livello anche i pre-esistenti rapporti scientifici con enti nazionali e internazionali e con aziende. Questo, oltre a garantire un efficace processo di fertilizzazione tecnologica a livello nazionale, favorirà l’ingresso immediato dell’Iit nel sistema della ricerca scientifica internazionale.” Un ottimismo, quello di Cingolani, che emerge anche dalle dichiarazioni di Vittorio Grilli, presidente dell’Iit: “Abbiamo optato per un modello originale, ispirato alle migliori esperienze internazionali, che combina un laboratorio centrale principale con scienziati di fama internazionale e un network di laboratori eccellenti, che sono riconosciuti per i risultati ottenuti nei rispettivi settori e che hanno deciso di condividere gli sforzi su tematiche scientifiche di frontiera”.Un modello originale, quindi. Ispirato perfino alle migliori esperienze internazionali. Ma l’idea iniziale non era questa. Quando venne presentato ufficialmente il 16 febbraio 2004, infatti, il progetto non era quello di un network ma di un centro con una sua struttura che al limite si avvalesse “della partecipazione di illustri scienziati in collegamento con tutti gli altri centri di ricerca pubblici”. “Ciò significa”, spiega Rino Falcone, ricercatore del Cnr e coordinatore dell’Osservatorio sulla ricerca, “che l’Iit per come era stato concepito è un tentativo fallito: l’ambizione di creare dal nulla un Mit all’italiana era un castello di sabbia. Ne è uscita fuori un’agenzia specializzata in specifici settori e non è chiaro chi sia stato a scegliere i centri che ne fanno parte. Il meccanismo alla sua base, poi, non prevede competizione, fondamentale per la ricerca scientifica. È stato infatti scelto prima chi accederà ai fondi e poi i progetti che verranno finanziati. Si tratta in sostanza di scelte ‘top-down’ quando invece solitamente la scienza funziona al contrario. A mio avviso si doveva procedere in un altro modo creando prima un comitato scientifico internazionale realmente operativo e poi facendo uno studio di fattibilità del progetto. Insomma un serio lavoro di pianificazione. Ora invece ci troviamo con una cordata di laboratori e centri di ricerca che otterranno finanziamenti sostanzialmente sulla base di un progetto fallito”.

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