Riforma per decreto

A dispetto delle previsioni che dicono pioggia, questa sarà un’estate calda. Anzi torrida. Soprattutto negli atenei italiani. Dove già ora studenti, ricercatori e docenti sono uniti – nel quasi totale disinteresse (o ignoranza) dell’opinione pubblica – in una battaglia per la sopravvivenza stessa delle università. L’obiettivo della lotta, che ha già visto assemblee spontanee in molti atenei, documenti di condanna, allarmate prese di posizione e minacce di sciopero, è una vera e propria riforma dell’università sotto mentite spoglie, nascosta nelle righe del decreto legge 112 del 25 giugno 2008, presentato dal ministro dell’economia e delle finanze Tremonti e approvato in nove minuti netti dal Consiglio dei ministri. Il titolo del decreto – Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria – rimanda a concetti alti, suggerendo una strategia di innovazione volta al miglioramento delle condizioni economiche del paese. Dentro ci si trova un po’ di tutto: dagli interventi di installazione della banda larga allo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi, passando per il risparmio della carta negli uffici pubblici. Ma è al capo V, su Istruzione e ricerca, che arrivano le note dolenti per l’università.

Intanto, la riduzione progressiva, in cinque anni, del Fondo di finanziamento ordinario, quello grazie al quale lo Stato trasferisce denari alle Università. Questo rappresenta la quota più consistente della parte attiva del bilancio degli atenei, seguita dalle somme pagate dagli studenti sotto forma di tasse e contributi. A questo proposito, il decreto recita testualmente: “l’autorizzazione legislativa di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a) della legge n. 537 del 1993, concernente il fondo per il finanziamento ordinario delle università, è ridotta di 63,5 milioni di euro per l’anno 2009, di 190 milioni di euro per l’anno 2010, di 316 milioni di euro per l’anno 2011, di 417 milioni di euro per l’anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013”. Un taglio complessivo di 1,443 miliardi di euro. L’Università di Roma “Sapienza”, dopo una giornata di mobilitazione, ha dichiarato che in queste condizioni non sarà possibile dare inizio all’anno accademico 2008-2009. Ha rincarato la dose Enrico Decleva, fresco di nomina alla presidenza della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (Crui), secondo cui “in queste condizioni il dissesto degli atenei, nel 2010, sarà inevitabile”. Il “magnifico” dell’Università dell’Aquila, Ferdinando Di Orio, ha proposto la dimissione in blocco di tutti i rettori. “Se non arriveranno segnali positivi con la Finanziaria 2009”, dice ancora Decleva, “siamo pronti a ogni tipo di iniziativa, se necessario anche di forte impatto”.

Più morbida, almeno per il momento, la linea del Consiglio Universitario Nazionale: “Comprendiamo la situazione di crisi, che è certamente seria, ma ci preoccupa la totale mancanza di prospettive. Se tagli ci devono essere”, dice a Galileo il presidente Andrea Lenzi, “ce ne venga comunicato l’ammontare, così che i singoli atenei possano stabilire i criteri della cura dimagrante. Tagliare in modo indiscriminato sembra più un modo per affossare il sistema universitario, che per migliorarlo”.

Ma a preoccupare il mondo universitario non è soltanto la drastica riduzione dei fondi. L’articolo 16 del decreto recita infatti: “le università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in  fondazioni di diritto privato”. Cosa significa? Intanto che tutti i beni immobili di proprietà delle università (dunque dello Stato, cioè dei cittadini) vengono trasferiti alle fondazioni private. Esentasse, per altro. Al rettore subentra l’amministratore unico, con ricadute sulle scelte in materia di didattica e di ricerca. Insomma, un sostanziale, progressivo e irreversibile disimpegno dello Stato nei confronti dell’università pubblica che finirebbe per colpire – come accusa il Senato accademico dell’Orientale di Napoli – anche la componente studentesca, perché le Fondazioni non dovrebbero rispettare il tetto del 20 per cento sul Fondo di finanziamento ordinario e dunque potrebbero aumentare le tasse a piacimento. “Non siamo contrari in linea di principio”, commenta ancora Lenzi, “ma occorre una regolamentazione molto più chiara: quali garanzie, quali vantaggi si avranno dall’eventuale trasformazione? Quante facoltà dovranno avere le Fondazioni? Quali tipologie di ateneo potranno beneficiare di più da questo passaggio? Un’Università statale è un ente pubblico, come un ministero. Ma a nessuno, nemmeno nelle culture anglosassoni più esasperate, verrebbe in mente di trasformare in Fondazione il dicastero di Viale Trastevere”.

E che dire dell’articolo che recita “il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascun anno, il 20 per cento delle unità cessate nell’anno precedente”? Significa in sostanza che per ogni 100 professori in uscita, soltanto 20 giovani possono prendere il loro posto. Un vincolo che tra l’altro, per come è stato formulato, non tiene conto dei posti già banditi di professore e ricercatore e dei conseguenti impegni di assunzione già presi dalle università. “In un ateneo come il nostro”, dicono ancora all’Orientale, “questo blocco del turn over porterà inevitabilmente alla progressiva scomparsa di interi settori scientifico-disciplinari”. Il tutto accompagnato dal passaggio degli scatti stipendiali da due a tre anni, che ridurrà ulteriormente le remunerazioni, già tra le più basse d’Europa.

Ce n’è abbastanza, insomma, per far dire al presidente dei Rettori che siamo in pieno allarme rosso. Soprattutto: “Non è ammissibile che mutamenti di tanta portata del modello istituzionale e funzionale degli atenei possano essere definiti frettolosamente e sull’onda di mere considerazioni di spesa, per di più tramite un decreto legge”. In un paese che, come ha appena ribadito il Presidente della Repubblica, dovrebbe investire nella conoscenza, perché è qui che si gioca il suo futuro, la strada tracciata da Tremonti sembra andare in tutt’altra direzione.

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