Rna-i dai mille volti

Non è certo una novità, nella storia del premio Nobel: mentre uno scienziato sale sul palco della Stockholm Konserthus a ritirare l’ambito riconoscimento, un altro commenta rancoroso “al suo posto dovevo esserci io”. Ma domenica saranno davvero un po’ troppi a pensarlo, quando verrà il turno di Craig Fire e Andrew Mello. Perché il premio per la medicina e la fisiologia quest’anno è andato a una una scoperta che è in realtà (e Fire e Mello sono i primi a riconoscerlo) un’impresa collettiva.

La scoperta in questione è quella dell’interferenza a Rna, o Rna-i: un meccanismo biologico per cui, inserendo in una cellula un doppio filamento di Rna corrispondente a un dato gene, quel gene viene “silenziato”, cioè viene arrestata la produzione della relativa proteina. Il motivo è una complessa catena di eventi molecolari per cui quell’Rna fa da modello per rintracciare e distruggere tutti gli Rna messaggero basati sulla stessa sequenza; ed evolutivamente, si tratta probabilmente di un meccanismo di difesa dai virus, il cui materiale genetico è proprio costituito da Rna a doppio filamento. Ora, la motivazione ufficiale del premio fa riferimento a un articolo pubblicato su Nature nel 1998 da Fire e Mello, rispettivamente dell’Università di Stanford e di quella del Massachussets, in cui si dimostrava l’Rna-i in un verme, il C. elegans. Ma la storia della scoperta era iniziata ben prima.

Già negli anni Ottanta, infatti, vi erano state le osservazioni di diversi gruppi di ricerca botanica, che nel tentativo di cambiare il colore di un fiore introducendo copie aggiuntive del gene che conferisce una certa pigmentazione, si erano ritrovati di fronte a fiori bianchi: più copie del gene si inserivano, più quella proprietà scompariva. Era quella la prima scoperta del “silenziamento genico” ottenuto inserendo nella cellula sequenze corrispondenti al gene stesso. Una scoperta poi confermata, lavorando sui funghi, da una altro pioniere della ricerca sull’Rna-i, l’italiano Giuseppe Macino dell’Università La Sapienza. Che due anni prima di Fire e Mello pubblicava uno studio sulla muffa Necrospora crassa, in cui illustrava in sostanza lo stesso meccanismo.

In realtà, gli stessi Fire e Mello si sono imbattuti nell’Rna-i per caso. I due stavano semplicemente studiando gli effetti di un suo gene, che produce una proteina del tessuto muscolare, e speravano di aumentare la produzione di quella proteina iniettando il corrispondente Rna messaggero. Ma senza alcun effetto. Provarono anche con la versione “antisenso” dell’mRNA, cioè la sequenza complementare, ma ancora senza risultato. Quando però iniettarono le due sequenze contemporaneamente, il verme iniziò a compiere strani movimenti, come se gli mancasse del tutto il gene in questione. A quel punto i due capirono che si trovavano di fronte allo stesso fenomeno già individuato per altre vie su piante e funghi: il doppio filamento di Rna innesca una catena di eventi che porta alla distruzione di tutto l’mRna corrispondente, e quindi al silenziamento del gene.

Fire e Mello erano stati i primi a dimostrare che quel meccanismo agisce anche negli animali, a chiarire alcuni passaggi fondamentali del meccanismo e a dimostrare la possibilità di manipolarlo. Ma perché, si sono chiesti in molti, premiare solo loro?

Alcuni dei ricercatori coinvolti in quei primi esperimenti sulle piante hanno scritto una lettera a Nature, che dice più o meno: escludere del tutto chi aveva lavorato sulle piante vuol dire dare un pessimo messaggio ai giovani che si avvicinano alla scienza, perché significa privilegiare la ricerca mirata ad applicazioni a scapito di quella di base. E visto che le regole del Nobel ammettono i premi divisi fino a tre persone, si poteva fare spazio almeno anche a David Baulcombe dell’Università di Norwich, principale pioniere della ricerca in campo botanico su questo fenomeno. Vero, ma allora perché dimenticare Pino Macino e i suoi funghi? O gli altri ricercatori che dopo gli stessi Fire e Mello, hanno contribuito a fare dell’Rna-i una tecnica applicabile in medicina, a cominciare da Thomaa Tuschl del Max Planck Institut di Göttingen, in Germania, che per primo ha descritto una tecnica per spegnere i geni di mammiferi grazie all’Rna?

“La verità” spiega lo stesso Macino “è che se avessero dovuto premiare tutti quelli che hanno avuto un ruolo fondamentale in questa ricerca avrebbero dovuto dare il Nobel a sette o otto persone, e questo era impossibile. Hanno scelto Fire e Mello un po’ perché chi lavora sugli animali riceve sempre più attenzioni, un po’ perché loro hanno fatto alcuni passi decisivi per rendere la scoperta applicabile in medicina. Noi, per esempio, usavamo filamenti di Dna, che non sono altrettanto facili da inserire nelle cellule, e l’effetto di silenziamento si esauriva rapidamente. Invece nel loro caso, usando l’Rna, il silenziamento veniva addirittura conservato attraverso diverse generazioni di cellule”.

Certo, un vero peccato che la ricerca sull’Rna-i non abbia avuto modo di crescere e svilupparsi in Italia, perché sta attirando sempre più attenzioni da parte della grande industria farmaceutica. Negli Usa, due aziende biotech, Alnylam Pharmaceuticals e Sirna Therapeutics, hanno deciso di puntare tutto sul trasferimento dell’Rna-i dal laboratorio alla clinica, e i risultati sono un paio di farmaci che stanno entrando nelle prime fasi di sperimentazione clinica: uno contro la degenerazione maculare senile, uno contro le malattie virali. E le grandi multinazionali non sono state a guardare: Novartis e Gsk hanno infatti concluso accordi, rispettivamente con Alnylam e Sirna, per sostenere le ricerche e commercializzare i farmaci se supereranno i test clinici.

Nel frattempo, comunque, l’Rna continua a riservare sorprese. É di poche settimane fa una ricerca, pubblicata su PNAS, firmata da Long-Cheng Li, dell’Università della California a San Francisco.  Li stava tentando di usare l’Rna-i in una coltura di cellule tumorali umane del pancreas, per spegnere un gene ritenuto responsabile del cancro. Ma ha avuto la sorpresa opposta a quella di Fire e Mello: la produzione delle proteina incriminata è aumentata anziché diminuire. Sembra cioè che in alcuni casi e per alcuni tipi di geni (e si tratterebbe di capire quali) al posto dell’Rna-i si verifichi l’Rna-a, dove la ‘a’ sta per attivazione. Una scoperta che confonde le acque, ma che andrà verificata: secondo molti esperti, l’attivazione di un gene potrebbe essere stata la conseguenza del silenziamento di un altro, e allora saremmo di fronte alla ormai ben nota Rna-i.

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