Categorie: Spazio

Scontri tra buchi neri all’origine dei “fuochi d’artificio” spaziali

Sono enormi e violentissimi getti di gas, simili a spettacolari fuochi d’artificio spaziali, che viaggiano a velocità prossime a quelle della luce. E, finora, gli astronomi non comprendevano perché solo alcune galassie fossero in grado di emetterli. Il mistero è stato appena risolto dagli scienziati dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, in Maryland: il fenomeno sarebbe causato dalla collisione e fusione di due (o più) galassie. Per la precisione, secondo i ricercatori, i responsabili sarebbero i buchi neri al centro delle galassie stesse. La scoperta è stata appena divulgata su ArXiv e sarà presto pubblicata sullo Astrophysical Journal.

“Solo pochi nuclei galattici attivi”, spiega Davide Castelvecchi sul blog di Nature, a commento del lavoro, “producono quelli che probabilmente sono i ‘fuochi d’artificio’ più spettacolari dell’Universo: getti di materia accelerata a velocità prossime a quella della luce, che fluiscono dai centri galattici in direzioni opposte”. Per comprendere perché il fenomeno fosse osservato solo in alcune galassie, l’équipe di Marco Chialberge ha riesaminato i dati raccolti dalla Wide Field Camera 3 del telescopio spaziale Hubble, notando delle correlazioni inaspettate: “Abbiamo stampato le immagini catturate dal telescopio, notando che tutte le galassie che emettevano gas avevano subito collisioni e fusioni con altre galassie”.

Seguendo quest’intuizione, gli scienziati hanno allargato a 19 il campione di galassie esaminate, concludendo che il fenomeno è dovuto alla fusione dei buchi neri al centro delle galassie. Accrescendosi, il buco nero ruota più velocemente, il che aumenta l’intensità del suo campo magnetico: la conseguenza è la violentissima accelerazione delle particelle di gas che lo circondano, che vengono espulse a grandissima velocità in direzioni opposte, verso l’esterno della galassia. “L’idea era già stata proposta diversi anni fa”, commenta Sylvain Veilleux, della University of Maryland, non coinvolto nello studio, “ma queste sono le prime osservazioni sperimentali che supportano la teoria”.

Riferimenti: ArXiv
Credits immagine: Esa/Hubble, L. Calçada (Eso)

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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