Scuola digitale, come si formano gli insegnanti

    Le classi digitali spuntano come funghi. L’ultima è stata inaugurata lo scorso 7 dicembre a Sassello, in Liguria. Solo due giorni prima ne era nata un’altra a Piegaro, un piccolo borgo dell’Umbria di neanche 4 mila anime. L’11 sarà la volta dell’istituto comprensivo di Fucecchio, vicino Firenze, il 17 quella di Pescara e il 18 quella di Foggia. Sono le classi del progetto Smart Future di Samsung, che era stato anticipato a giugno (vedi Galileo, “Smart Future, la didattica diventa digitale“) e che è ormai entrato nella fase operativa. Prima delle vacanze natalizie, infatti, saranno digitalizzate in tutto 25 classi. Il che vuol dire tablet, lavagne interattive e-board, banda larga, supporto tecnico costante. Ma anche aggiornamento e training degli insegnanti e test di nuove applicazioni.

    Le regioni interessate in questa prima parte della sperimentazione sono sette: Lombardia, Liguria, Puglia, Toscana, Lazio, Umbria e Abruzzo. Si è partiti da Milano, da una terza elementare dell’“Enrico Toti”, una piccola scuola al confine della città. Una classe scelta perché “difficile”. O meglio, perché presenta alcune caratteristiche per le quali la tecnologia potrebbe risultare particolarmente utile: è numerosa, con 27 alunni, e vi sono 13 bambini stranieri (alcuni sono arrivati quest’anno e tre non conoscono l’italiano); altri otto presentano dei disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa), come disgrafia e dislessia. L’idea è proprio quella di privilegiare scuole complesse dal punto di vista dell’integrazione territoriale e della presenza di stranieri, o piccoli plessi che rischiano di chiudere.

    “Per questo progetto Samsung ha sviluppato tre tipi di suite di programmi: uno per la gestione della classe, uno per facilitare i bambini ipovedenti, uno per gli alunni con Dsa”, spiega Carlo Barlocco, Senior Vice President Samsung Italia. Il tablet dell’insegnante sarà una specie di cabina di regia, dalla quale è possibile visualizzare gli schermi di ogni singolo studente, attivare e disattivare funzioni, monitorare il lavoro e lo svolgimento dei compiti, inviare contenuti personalizzati e test. Quanto all’integrazione, esiste un kit di accoglienza studiato appositamente per gli alunni neofiti della lingua italiana. I contenuti prettamente didattici, invece, restano competenza degli editori e degli sviluppatori di applicazioni dedicate alla didattica. E naturalmente dei docenti, e degli alunni.

    “Il ruolo dell’insegnante è di valorizzare le potenzialità di ciascuno studente e il progetto è impostato per aiutare a sviluppare percorsi personalizzati individuali”, spiega la dirigente scolastica Elena Borgnino: “Il nostro obiettivo è offrire una didattica all’altezza dei tempi”. “Non nego che il progetto un po’ mi spaventi, ma mi incuriosisce”, aggiunge una delle due maestre coinvolte, Laura Martignoni, 55 anni. “Non possiamo negare che i ragazzi ne sanno più di noi di tecnologia, ma proprio per questo bisogna collaborare con loro”.

    La prossima settimana, insegnanti e preside del Toti verranno formate e comincerà la vera e propria sperimentazione, che durerà circa due mesi. A seguirla e a valutarla (sia in questa scuola che nelle altre) ci saranno i ricercatori del Cremit, il Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Per cominciare analizzeremo la percezione degli insegnanti e delle famiglie attraverso dei questionari”, spiega il direttore Pier Cesare Rivoltella: “L’obiettivo per ora è capire cosa si modifica nella classe quando si introduce la tecnologia”.

    Credits Immagine: Brad Flickinger/Flickr

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