Segni al femminile

Nella sala ci sono ben due interpreti. Ma tra i partecipanti, nessuno indossa le cuffiette per la traduzione simultanea. Perché il codice di comunicazione utilizzato è tutto da guardare: è la lingua dei segni. In questo modo martedì 6 luglio si è svolta, presso il Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio, alla presenza del ministro Livia Turco, la presentazione del libro “Segni al femminile”. Primo rapporto sulla condizione delle donne sorde in Italia” di Ida Collu e Valentina Balit (Franco Angeli editore). Un interprete in piedi, di fronte alla platea, traduce le parole dei relatori nella lingua italiana dei segni, a sua volta tradotta in “american sign language” per una rappresentante del governo europeo, invitata a confrontare la realtà italiana della donna sorda con la condizione nell’intero continente.

Il profilo emerso dallo studio, che riflette le esperienze di un campione di 577 donne sorde italiane, coglie i diversi aspetti della questione con una accuratezza che non ha uguali in Europa. Istruzione, famiglia, rapporto con partner e figli, comunicazione con il mondo degli udenti e quindi consapevolezza della propria identità e dei propri diritti: questi i temi affrontati nel questionario. Ne emerge un quadro di donne sorde italiane soddisfatte della propria vita, soprattutto per ciò che riguarda la famiglia e i figli, per cui sono anche disposte a rinunciare agli studi, al lavoro e alle amicizie.

Nessuna di loro ha frequentato l’università – alcune si sono fermate alla licenza elementare – e manifestano molte difficoltà a rapportarsi con lo Stato e le sue strutture, spesso ignorando le leggi sulla maternità, sulle pari opportunità e sull’esistenza di servizi per le donne.

Mentre in famiglia la comunicazione è possibile grazie alla lingua dei segni, nei luoghi pubblici le donne sorde hanno grandi difficoltà a farsi capire. Perché la lingua italiana dei segni non è stata ancora riconosciuta dallo Stato, sebbene una risoluzione del Parlamento europeo invitasse al riconoscimento di questa lingua da parte di tutti i paesi membri. E invece la lingua dei segni, concludono le autrici dello studio, è uno degli strumenti più validi per l’emancipazione non soltanto delle donne sorde, ma anche degli uomini.

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