I segreti del Sahara, così da prateria si è trasformato in deserto

Un po’ come un adulto che da ragazzo ha avuto il suo periodo ribelle, il Sahara, nella sua giovinezza, ovvero fino a circa 6000 anni fa, ha avuto il suo “periodo umido”, nel quale non era un deserto ma una prateria ricca di laghi. Partendo da questo dato, già noto alla scienza, uno studio condotto dalla Northumbria University in Inghilterra prova ad andare oltre, e approfondisce le conseguenze atmosferiche di questa trasformazione ambientale, quali l’aumento e la diversificazione delle polveri in atmosfera, provenienti dal Sahara e dirette verso mete lontane. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Climate of the Past.

Ma qual è la storia del deserto nordafricano? Nel cosiddetto periodo umido africano, durante l’Olocene, in un’epoca compresa circa fra 12mila e 6mila anni fa, il Sahara era dominato dal verde, dall’acqua e da mammifer come elefanti, giraffe, ippopotami. Vi sembra impossibile? Su scale di migliaia di anni, eppure, specifici movimenti terrestri possono contribuire a cambiamenti climatici e geologici di questa portata. Fra i responsabili della desertificazione del Sahara vi è la lentissima rotazione della Terra intorno al suo asse verticale, che la fa muovere un po’ come se fosse una trottola. Proprio a causa di questo movimento, per esempio, 10 mila anni fa nel Nord Africa la radiazione solare nella stagione estiva risultava più forte di quella odierna e questa maggiore intensità faceva aumentare le piogge monsoniche, rendendo il clima umido. Ma già 6000 anni fa la situazione era diversa e simile a quella attuale: il Sahara da prateria stava diventando un deserto di 9,2 milioni di chilometri quadrati, circa trenta volte la superficie dell’Italia.

Il fenomeno dell’afflusso in varie regioni del pianeta delle polveri sahariane, ovvero le polveri microscopiche provenienti dal deserto nordafricano, è noto e il suo impatto sul clima è in corso di studio da parte degli scienziati. Oggi, i ricercatori inglesi hanno “fotografato” la presenza di queste polveri nel corso dei millenni. Come? Mediante complesse analisi chimiche a partire da resti di un archivio paleoclimatico. In particolare, hanno selezionato un campione di torba proveniente dalla regione dei Carpazi Orientali, nell’attuale Romania. La torba è un materiale è fatto di vegetali acquatici i cui resti si sono conservati nei millenni: così gli scienziati hanno potuto datare le diverse parti del campione, distinguendo ciascuno strato per età in un periodo compreso fra i 10mila anni fa ed oggi.

Dalle analisi della polvere depositata in questo campione, gli scienziati hanno potuto ricostruire che, proprio a partire da circa 6100 anni fa – dunque in corrispondenza dell’inizio della desertificazione del Sahara – e fino ad oggi, il numero di polveri presenti in atmosfera e la loro quantità risultava maggiore e la composizione era diversa rispetto a quella del pulviscolo dei millenni precedenti. La polvere degli ultimi 6000 anni contiene una maggiore quantità di titanio, un elemento chimico leggero, che fra l’altro si trova nella carta, nelle vernici e in altri materiali. Questa maggiore quantità e la sua diversa composizione hanno fatto dunque pensare agli autori che il pulviscolo provenga dal Sahara, mentre quello precedente sia il frutto di fenomeni locali di erosione del suolo.

Ma queste “nuove” polveri provenienti dal Sahara quali effetti possono avere sull’ambiente? Possono modificare le temperature e far aumentare le precipitazioni, spiegano gli esperti. “La polvere è uno degli aerosol con maggiore impatto sul clima e sulla biologia di un ambiente”, ha spiegato il geografo Jack Longman, che ha guidato la ricerca. “Per questo, conoscerne la quantità, la distanza e la traiettoria con cui viaggia è essenziale per capire tali effetti”. Il risultato di oggi, dunque, potrà essere utile per studiare meglio gli effetti di una trasformazione geologica epocale come quella della desertificazione del Sahara.

Riferimenti: Climate of the Past

Viola Rita

Giornalista scientifica. Dopo la maturità classica e la laurea in Fisica, dal 2012 si occupa con grande interesse e a tempo pieno di divulgazione e comunicazione scientifica. A Galileo dal 2017, collabora con La Repubblica.it e Mente&Cervello. Nel 2012 ha vinto il premio giornalistico “Riccardo Tomassetti”.

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