Sfida globale ai superbatteri

Gli antibiotici non hanno più effetto. E’ questo il dato allarmante denunciato ormai da molti studi in, un dato talmente diffuso da far parlare di “problema globale”. Una delle più importanti scoperte del ventesimo secolo, gli antibiotici appunto, rischia di essere annullata dall’emergere di ceppi di batteri sempre più resistenti. Se già durante gli anni Quaranta lo Stafilococco Aureo aveva mostrato di resistere a tutti gli antibiotici conosciuti (e fu battuto alla fine da un cocktail di antibiotici), ora i batteri invincibili si sono moltiplicati. Dal Mycobacterium tubercolisis alla Neisseria Meningitidis, dal batterio della salmonella allo Streptococcus pneumoniae, responsabile della polmonite e della gran parte delle infezioni alle vie respiratorie alte. La minaccia più recente, infine, sembra venire da una versione “incattivita” dell’Escherichia coli, il batterio responsabile della cistite e di diverse infezioni alle vie urinarie. Il problema non è nuovo, ma ora a lanciare l’allarme è l’Organizzazione Mondiale della Sanità: se non verrà pianificata al più presto una strategia globale per giungere a un uso saggio delle terapie antibiotiche, si rischia di vanificare i 17 miliardi di dollari spesi per la ricerca negli ultimi 50 anni dalle industrie farmaceutiche. Soprattutto, come ha sostenuto Gro Harem Brundtland, direttore generale dell’Oms, si favorisce il passaggio a “un’era post-antibiotica, nella quale molti vantaggi acquisiti dalla medicina potrebbero essere annullati dall’insorgere di infezioni incurabili”.

Sembra certo che alla base dell’antibiotico-resistenza, vi sia innanzitutto un’eccessiva prescrizione di questi farmaci, causata da una pericolosa accondiscendenza da parte dei medici di fronte a richieste inappropriate dei pazienti. L’abuso che ne è derivato ha dato luogo a un ambiente ostile ai batteri, ma, nello stesso tempo, a una selezione di quelli maggiormente resistenti, dunque al loro predominio. Inoltre, la capacità dell’antibiotico di alterare la flora batterica intestinale, provoca un indebolimento del sistema immunitario, mettendo l’organismo umano alla mercé di virus e batteri. Per questo l’Oms ha lanciato una campagna di informazione, nella convinzione che spesso in pazienti e operatori sanitari a prevalere sia l’ignoranza degli effetti collaterali dell’abuso di antibiotici. Al primo posto fra gli ambienti più pericolosi ci sono gli ospedali. Qui, infatti, non solo si praticano terapie antibiotiche prolungate e intensive, ma si trovano concentrati i principali vettori della diffusione delle infezioni: contatti diretti e indiretti tra i pazienti e il personale sanitario. Eppure, basterebbero pochi, fondamentali accorgimenti. Uno dei documenti stilati dall’Oms suggerisce agli infermieri di lavarsi frequentemente le mani e di cambiare i guanti ogniqualvolta vengono a contatto con un paziente diverso, di sterilizzare adeguatamente tutti gli strumenti potenzialmente batterici, di disinfettare anche gli ambienti ospedalieri, assicurando per esempio un ricambio costante dell’aria, di catalogare, infine, tutte le infezioni e i relativi antibiotici prescritti. Da ultimo, l’istituzione di commissioni interne rappresenterebbe l’elemento chiave per il monitoraggio delle cure antibiotiche.

Da tenere sotto controllo, sempre secondo l’Oms, è anche la somministrazione di antibiotici agli animali d’allevamento. Si è calcolato infatti che oggi circa il 50 per cento degli antibiotici prodotti viene utilizzato in agricoltura, non solo per curare animali malati ma anche per incrementarne la produttività. Ad aumentare, però, non sarebbe la produzione di carne, bensì anche la pericolosità di quegli agenti patogeni, trasmessi all’uomo per diretto contatto con l’animale o indirettamente tramite il consumo della carne. Non solo, i batteri possono spargersi in tutto l’ecosistema, contaminando l’acqua, l’aria, la terra. In campo zootecnico, inoltre, l’abuso di antibiotici è molto meno controllato, in quanto, spesso, essi vengono dati senza prescrizione veterinaria. A ciò si aggiunga che, in alcuni Paesi, gli stessi veterinari ricavano oltre il 40 per cento dei loro introiti proprio dalla vendita dei farmaci.

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