Si cerca la cura in una tazza di caffè

La caffeina può funzionare da neuroprotettivo contro il morbo di Parkinson, la malattia causata da una diminuzione della concentrazione di dopamina. Ad affermarlo è uno studio di alcuni ricercatori del Massachusetts General Hospital di Boston pubblicato sul Journal of Neuroscience. Per la ricerca, Michael A. Schwarzschild e colleghi hanno usato un modello animale per riprodurre la malattia. E hanno mostrato che la somministrazione di MPTP, una sostanza chimica che abbassa drasticamente i livelli di dopamina, causava nei topi di laboratorio l’insorgenza dei sintomi tipici del Parkinson. Ma la somministrazione preventiva di caffeina – ovvero l’equivalente di una o due tazze per un uomo- riduceva l’effetto della sostanza chimica e manteneva la dopamina a livelli normali, impedendo quindi la neurodegenerazione. Secondo i ricercatori l’azione neuroprotettiva della caffeina avviene attraverso il blocco del recettore neuronale A2A, una proteina che si trova solo sulle cellule coinvolte nella degenerazione del Parkinson. La scoperta potrebbe avere importanti ripercussioni terapeutiche. Oggi, infatti, la terapia standard per i malati di Parkinson è la somministrazione di dopamina, che però riesce solo a rallentare il progredire della malattia e ha molti effetti collaterali sul sistema motorio. “Forse”, dice Schwarzschild, “la terapia migliore potrebbe proprio essere quella che prende di mira il recettore A2A”. Sullo stesso numero del Journal of Neuroscience, inoltre, è stato pubblicato uno studio che dimostra come il rischio di insorgenza del Parkinson si abbassi significativamente negli uomini che bevono regolarmente caffè. (f.n.)

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