Società della conoscenza, perché l’Europa è in ritardo

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(Foto via Pixabay)

Il flusso delle conoscenze scientifiche pervade la vita quotidiana dei paesi ad alto reddito, e comincia a indurre profonde modificazioni nei comportamenti, nei desideri, nelle prospettive di futuro anche dei paesi detti “terzi”. Ma se “l’economia della conoscenza” nasce in America, promossa al termine della Seconda Guerra Mondiale dal consigliere scientifico di Roosevelt, Vannevar Bush, l’Europa del dopoguerra sembra essersi fermata nel perseguire questo obiettivo, come se non avesse voluto o saputo comprendere l’importanza politica, strategica e culturale di investire risorse nello sviluppo e nella ricerca di nuove conoscenze. Proprio di questa particolare situazione il volume di Pietro Greco, giornalista e scrittore, tenta di individuare le cause e le conseguenze.

Lo sviluppo Big Science nel dopoguerra

La catastrofe del conflitto mondiale ha modificato in Europa i confini nazionali, distrutto città, stravolto i modi di vivere e provocato milioni di morti. La ripresa è stata lunga e difficile, sostenuta in Occidente dagli aiuti americani, promuovendo alla fine del secolo scorso alcune importanti riforme come la redistribuzione delle terre, il diritto di voto alle donne… E’ mancata però una forte spinta verso l’integrazione europea, anche se alcuni Stati si sono via via uniti per dare progressivamente vita alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), alla Comunità per l’energia atomica (Euratom), alla Comunità Economica Europea (CEE). Dopo la guerra, pur nelle condizioni di incertezza istituzionale e politica, è iniziato lo sviluppo della Big Science, pilotata dalla competizione in campo militare tra Stati Uniti e Unione Sovietica e sostenuta da investimenti notevoli nelle tecnologie spaziali. Blocco orientale e blocco occidentale si sono sfidati con alterne vicende per la conquista dello Spazio, con ricadute importanti sia sui risultati della scienza di base sia sulla produzione di armi atomiche sempre più maneggevoli e potenti. La proliferazione nucleare, dopo breve tempo, non ha riguardato soltanto Urss e Usa ma ha interessato Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e, dal 2006, anche la Corea del Nord.

La diffidenza europea verso la conoscenza

Tuttavia, dopo un periodo di integrazione e benessere diffuso, già verso la fine del XX secolo e poi all’inizio del XXI, la spesa europea in ricerca e sviluppo (R&S) è diventata nettamente inferiore a quella media nel resto del mondo. Sembra quasi, commenta Pietro Greco, che nel vecchio continente sia cresciuta la diffidenza verso la scienza e, più in generale, verso la conoscenza. La sua analisi, ampiamente documentata da grafici e tabelle, permette una occhiata sintetica all’Europa di oggi, che raccoglie i 19 paesi dell’Unione Europea (UE) accomunati dall’Euro come moneta unica. I tentativi di integrazione economica sono stati accompagnati, per contrasto, dalla frammentazione detta “sovranista”, per cui i diversi paesi tendono a valorizzare la propria specificità chiudendosi entro confini sia materiali che ideologici. La crisi economica del 2007 e il flusso migratorio proveniente da paesi poveri o in conflitto (cioè da diverse regioni dell’Africa, del medio Oriente e dell’Asia), il terrorismo determinato da un coacervo di cause economiche, religiose e culturali, hanno contribuito a frammentare l’Unione Europea, che si dimostra incapace di risposte coordinate ed efficaci. Occorrerebbe, secondo l’autore, un cambiamento radicale (che nessuno sa definire o attuare), un cambiamento che permettesse di rompere con il passato guardando al futuro, aumentando la fiducia nello Stato sociale a cui dovrebbe spettare il compito di eliminare l’enorme divario tra ricchi e poveri.

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Pietro Greco
La scienza e l’Europa: dal secondo dopoguerra ad oggi
L’Asino d’0ro, 2019
pp. 315, € 18.00

Il IV capitolo dell’opera sviluppa una panoramica delle più recenti conquiste del pensiero scientifico mondiale, analizzando gli sviluppi della fisica, della cosmologia, della matematica, della chimica, della biologia e della medicina. Gli investimenti in scienza di base, apparentemente slegata da utilità immediate, hanno in realtà cambiato drasticamente la nostra vita e, soprattutto, le nostre concezioni del mondo.

Il progresso tecnologico ha aperto nuovi orizzonti al pensiero speculativo, e i nuovi sviluppi delle conoscenze hanno richiesto l’invenzione e la costruzione di nuovi e sofisticati apparecchi. Le prospettive di indagine sono sempre più elevate e i finanziamenti sempre più indispensabili. Si aprono conflitti tra ricerca pubblica, aperta a tutti, e ricerca privata i cui risultati sono spesso di difficile accesso; si accendono le lotte per i brevetti, per le priorità dei risultati raggiunti. Diventano possibili osservazioni nell’infinitamente piccolo come nell’ambito della fisica delle particelle o nell’infinitamente grande, come gli sguardi gettati ben al di là della nostra galassia; si interviene sui meccanismi cellulari alla base della vita e delle più gravi malattie del secolo. Informatica e telecomunicazioni contribuiscono a trasformare il mondo in “villaggio globale”. Nonostante la partecipazione a questi successi mondiali, mentre paesi come la Cina e l’India sono ormai in grado di competere con gli Stati Uniti, i risultati europei in ricerca e sviluppo scientifico hanno subito una drastica riduzione.

Perché dovremmo tornare a credere nella scienza

Pietro Greco analizza con molta attenzione e con esaurienti documentazioni le conseguenze di questo fenomeno, scrivendo forse il capitolo più interessante e nuovo dell’intero volume. Il mondo è cambiato, sostiene l’autore, e l’Europa non sa affrontare il cambiamento. La nuova globalizzazione comporta un flusso di risorse (beni e servizi) dal vecchio mondo verso l’Asia che produce ricchezza vendendo i suoi prodotti all’Occidente, ma sembra che nessuno dei politici europei sia interessato ad individuare le cause prossime e remote del nostro declino. Con tutto il suo antico patrimonio culturale, l’Europa dimostra di non sapere stare al passo con i tempi: la vita media si allunga, si spende in armamenti e poco in welfare, non si cura l’unione politica dei differenti stati e l’evoluzione culturale è stagnante mentre, come scrive l’economista Luciano Gallino, innovazione e crescita economica possono svilupparsi solo in una società ad alta intensità di conoscenza. La missione dell’Università e della formazione, dunque, dovrebbe essere quella di diffondere la conoscenza scientifica nella società per creare un ambiente adatto all’innovazione. I dati di realtà, come dimostrano indagini e ricerche recenti, indicano invece che siamo ben lontani da una società curiosity-driven. Inoltre, nella stessa Europa si possono distinguere zone che procedono a differenti velocità, discriminate soprattutto dalla intensità degli investimenti in ricerca scientifica: Italia, Spagna ed altri paesi mediterranei non stanno certamente creando la società della conoscenza. Riconoscendo i punti di debolezza del sistema Europa e sviluppando per quanto possibile i punti di forza effettivamente esistenti si potrebbero trovare, in un immediato futuro, dei possibili rimedi. In questa prospettiva, l’autore indica sei obiettivi che dovrebbero essere progressivamente raggiunti per attuare un welfare state, tale da assicurare all’uomo i nuovi diritti di cittadinanza scientifica a cominciare dal diritto alla vita, e garantire a tutti una corretta alimentazione, lavoro, salute e istruzione.

In conclusione, la società dovrebbe tornare a credere nella scienza, preparando persone ed investendo risorse, esercitando tuttavia un rigoroso spirito critico in modo che i benefici della conoscenza siano non solo equamente distribuiti ma anche ecologicamente sostenibili. Solo a queste condizioni, organizzando il proprio futuro, l’Europa potrà nuovamente contribuire a una economia della conoscenza e tornare a essere il leader mondiale della ricerca scientifica.

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