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Società senza scampo

Zygmunt BaumanLa società sotto assedioEditori Laterza, 2003pp. 294, euro 16,00Dopo “Modernità liquida” e “La solitudine del cittadino globale” Zygmunt Bauman, professore emerito di Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia, ritorna sui temi della globalizzazione e sull’esperienza dell’essere umano nella modernità, in un saggio con cui la sua precedente produzione sembra giungere a un punto di arrivo. O forse a un punto di non ritorno, a giudicare almeno dal pessimismo della sua analisi che, di fronte alla riflessione sull’endemicità della società dei consumi, propria della tradizione modernista, non trova altra via di uscita che rimanere imbrigliata su se stessa come in un vicolo cieco. Nell’affrontare il rapporto tra teoria e realtà Bauman riparte dalla sua modernità liquida, adottando all’interno di essa una doppia prospettiva: da una parte la “Politica globale” e dall’altra “La politica della vita”, due campi di esperienza senza soluzione di continuità reciproca, in mezzo ai quali si estende un vuoto, o meglio “un’incarnazione del vuoto in cui fluttua il potere globale”, che diventa per Bauman lo spazio d’indagine sul senso dell’attività umana in chiave filosofica. Ne risulta un quadro di devastante rassegnazione, contro la cui stessa realizzazione Bauman combatte a furia di richiami alla responsabilità morale e all’impegno politico, che la sfida etica della globalizzazione ci impongono.L’epoca in cui viviamo è un’epoca di restrizioni dovute al gioco del profitto, condotto senza regole ed esclusione di colpi. Il genere umano deve riconciliarsi con la sua diversità, e se la società si è sempre adoperata a favore del perseguimento della felicità degli esseri umani, oggi quel compito è passato dalle mani della Politica, con la P maiuscola, alla politica della vita, “febbrile ricerca di un oggi diverso rispetto ad un domani migliore”. La separazione della modernità è entrata con la globalizzazione in uno “stadio 2”: nella fattispecie, “un’arcana esperienza del mondo che va riempiendosi” e in cui ciò che conta è l’esperienza del consumatore. Di questo passo “il modo in cui si vive diventa la soluzione biografica a contraddizioni sistemiche”, secondo un concetto che il sociologo anglo-polacco prende a prestito dall’uomo flessibile di Richard Sennett, e sul quale insistentemente ritorna nella seconda parte del suo saggio, dopo aver alzato definitivamente bandiera bianca sulla distinzione tra bene e male che al tempo degli stati nazionali garantiva “un giusto ordine di convivenza” tra i cittadini. In questa dissoluzione per le nuove comunità immaginate manca una collocazione territoriale, e sotto i colpi della globalizzazione cade anche “l’oggetto di studio naturalizzato e il cliente più ovvio” della sociologia, il cui destino si è legato storicamente all’autoaffermazione dell’umanità, secondo un concetto di durkheimiana memoria.Da che cosa è assediata la società di Bauman? Dall’incertezza, dalla continua divaricazione tra pubblico e privato, dall’inefficacia e dall’inutilità di qualsiasi sforzo umano, da un aut aut kierkegaardiano che limita la possibilità di scelta dell’individuo, da una sorta di paralisi comportamentale che pervade la società liquida. Ma c’è di più: da una conflitto interiore che in Bauman porta i segni dell’irrimediabilità della sconfitta e dell’ostinazione alla resistenza, e che il tramonto del sogno modernista ha ridotto a dramma esistenziale. Non si spiegherebbe altrimenti come, quando nella prima parte del saggio Bauman insiste sulla necessità di una risposta globale ai localismi (“perché è proprio nello squilibrio tra potere globale e politica locale che si è creato uno stato di precarietà”) evitando intelligentemente di cadere nella trappola della contrapposizione tra cambiamento e stabilità insita nella tensione globale/locale, così come viene talvolta affrontata dai suoi colleghi contemporanei, il suo tono diventa lapidario di fronte alla problematizzazione di una prospettiva futura, “che difficilmente potrà diventare una versione ampliata delle istituzioni democratiche sviluppate negli ultimi due secoli di storia”. L’umanità da lui descritta è spacciata in partenza e destinata alla sconfitta; il suo è il gesto del kamikaze suicida, di colui cioè che dopo essersi convinto della necessità di una panacea morale universale, vi si scaglia contro per distruggerla sapientemente. E in questo stato di disperazione generalizzato la società da lui descritta più che sotto assedio appare senza scampo.

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