Sorridere fa bene, anche se lo facciamo per finta

(Foto: Allef Vinicius on Unsplash)
sorridere

Sorridere è un gesto naturale per la nostra specie. Charles Darwin fu il primo a ipotizzare che si trattasse di qualcosa di innato e universale, al pari delle emozioni che veicola: tutti nasciamo programmati per sorridere, e provare gioia e divertimento nel farlo. E il binomio è tanto stretto che gesto ed emozione sono pressoché indistricabili: impossibile non sorridere quando si è allegri, e al contempo, è sufficiente sorridere – anche per finta – per veder migliorare di colpo il nostro umore. Questa ipotesi, che emerge direttamente dai lavori del padre dell’evoluzione, è stata definita ipotesi del feedback facciale (facial feedback hypothesis), e nell’arco dell’ultimo secolo ha attraversato alti e bassi: postulata da alcuni come spiegazione tout-court delle emozioni umane (non c’è gioia senza un sorriso), rigettata da altri, dimostrata sperimentalmente, e poi confutata con le stesse tecniche. Un nuovo studio internazionale, ha cui a partecipato anche l’Italia, vorrebbe mettere finalmente la parola fine alla vicenda: utilizzando un’ampia batteria di test, e una platea di “cavie” provenienti praticamente da tutto il mondo, gli autori ritengono infatti di aver dimostrato che il feedback facciale è effettivamente in grado di modificare il nostro umore, rendendoci un po’ più felici anche quando fingiamo semplicemente un sorriso.

La teoria

Come dicevamo, solitamente l’ipotesi del feedback facciale viene fatta risalire a Darwin, e più in particolare a una delle sue opere più tarde, e meno conosciute: “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”, del 1872 (uscita circa 10 anni dopo l’Origine delle specie). Il libro è dedicato a dimostrare che le espressioni e la mimica con cui gli esseri umani esprimono le proprie emozioni sono innate: non vengono cioè apprese, ma sono già presenti nel nostro repertorio comportamentale alla nascita, frutto di un processo evolutivo che ne ha plasmato l’aspetto e fissato le caratteristiche, rendendole ereditarie. Le emozioni e i gesti con cui le esprimiamo sono dunque tanto legati tra loro, spiega darwin che: “Persino la simulazione di un’emozione tende a suscitarla davvero nella nostra mente”.

Tradotto in termini più moderni, l’ipotesi del feedback facciale ritiene che gli stimoli provenienti dal sistema nervoso periferico (indotti cioè dai movimenti muscolari, come quelli del viso) influenzino direttamente le nostre esperienze emotive. Così come la gioia o il divertimento ci spingono a sorridere, insomma, sorridere, anche senso puramente meccanico, induce un senso di gioia o divertimento. Un sorriso finto, quindi, può influenzare direttamente (per quanto magari sottilmente) il nostro stato d’animo. Le conseguenze, se l’ipotesi fosse corretta, potrebbero essere anche molto concrete: sorridere potrebbe essere una strategia per migliorare l’umore, combattere ansia e depressione. E in effetti, è stata proposta, e utilizzata, come intervento terapeutico proprio in situazioni simili.

Le prove sperimentali

Come dimostrare però che l’ipotesi è vera? Nel 1988 tre psicologi americani hanno ideato un esperimento che è rimasto lo standard in questo campo per i 30 anni successivi: hanno chiesto a un certo numero di volontari di osservare delle vignette umoristiche e valutare quanto li divertissero, e di farlo in due condizioni differenti, ovvero reggendo una penna con i denti, in modo da atteggiare forzosamente il volto in un sorriso, o ti tenerla con le labbra, in modo da non poter sorridere neanche volendo.

L’idea era che tenere la penna tra i denti avrebbe aumentato il grado di divertimento suscitato dalle vignette, mentre tenerla con le labbra avrebbe sortito l’effetto opposto. E in effetti, i risultati hanno confermato le previsioni, mostrando un piccolo, ma significativo, effetto dei sorrisi forzati sulle emozioni sperimentate dai partecipanti. Ovviamente, non basta un esperimento per chiudere la questione. Negli anni gli psicologi hanno continuato a studiare l’argomento, e nel 2016 è stato pubblicato un nuovo studio, che compilava i risultati di 17 tentativi indipendenti di replicare l’esperimento del 1988, e dai cui risultati l’effetto del feedback facciale risultata più che ridimensionato: se nell’articolo originale il sorriso forzato aveva aumentato la percezione di divertimento in media di poco meno di un punto su una scala decimale, nella nuova metanalisi l’effetto risultava ridotto ad una differenza di appena 0,03 punti.

Il nuovo studio

La nuova ricerca nasce dagli sforzi di Nicholas Coles, psicologo di Stanford che nel 2019 ha realizzato una metanalisi in cui analizzava la letteratura scientifica disponibile sul facial feedback. Comprendendo nella sua ricerca anche i risultati dei 17 tentativi di replicazione pubblicati nel 2016, l’effetto del feedback facciale emergeva comunque: piccolo, ma significativo. “Coles ha deciso di approfondire la questione e ha iniziato a riunire un gruppo di specialisti di tutto il mondo, a cui mi ha chiesto di partecipare per svolgere un’analisi statistica, e indipendente, dei dati che avrebbero raccolto”, spiega a Wired Marco Marozzi, ordinario di Statistica dell’università Ca’ Foscari di Venezia. “Un po’ per volta il progetto è cresciuto molto, e dopo cinque anni, ritardati anche dallo scoppio della pandemia, siamo riusciti a ottenere dei dati molti solidi sull’argomento”.

La ricerca, pubblicata su Nature Human Behaviour, nasce quindi proprio per gettare delle fondamenta solide allo studio del feedback faccale. Gli autori sono un gruppo eterogeneo di esperti che comprende fautori, e critici, dell’ipotesi dell’ipotesi, riuniti sotto la sigla “The Many Smile Collaboration”. Il loro studio non si è limitato a replicare gli esperimenti svolti in passato, ma propone una nuova batteria di test pensati per poter offrire prove solide a favore, o contro, l’ipotesi del feedback facciale.

Lo studio è stato svolto presso 21 centri di ricerca, coinvolgendo un totale di 3.800 volontari, reclutati in 19 nazioni differenti. Per evitare bias nei risultati, ai partecipanti è stato detto che lo studio che avrebbe valutato l’impatto che hanno piccoli movimenti corporei e piccole distrazioni sulle capacità matematiche. Alcuni dei compiti che è stato chiesto loro di svolgere erano quindi puramente diversivi, altri invece erano pensati per valutare il feedback facciale in 3 differenti situazioni.

Un primo primo esperimento era la riedizione di quello del 1988: mantenere una penna in bocca con i denti o con le labbra, in modo da atteggiare, o meno, il viso ad un sorriso. Nel secondo, ai partecipanti era chiesto di imitare l’espressione di un attore, guardando una foto in cui questo poteva essere, o meno, sorridente. Nel terzo, di sollevare gli angoli delle labbra e sollevare il mento (ottenendo quindi un’espressione sorridente), o di mantenere un’espressione del viso totalmente neutra. Al termine di ogni test i volontari dovevano quindi risolvere un semplice problema matematico (il diversivo) e rispondere a un questionario per l’autovalutazione dell’ansia e della gioia (era quest’ultimo parametro, ovviamente, quello valutato realmente negli esperimenti).

I risultati hanno mostrato un effetto, piccolo ma significativo, dei sorrisi sui livelli di felicità sperimentati dai partecipanti. L’effetto è risultato maggiore nei test in cui si chiedeva di imitare l’espressione sorridente di una foto, o di atteggiare il viso ad un sorriso, rispetto a quanto non lo fosse nell’esperimento con la penna in bocca. Gli effetti inoltre sono emersi sia in presenza di uno stimolo emotivo, potenziando cioè gli effetti positivi di un’immagine pensata per suscitare gioia, sia in assenza di stimoli emotivi: sorridere, quindi, è di per sé in grado di migliorare il nostro umore, anche se solo di poco.

Come interpretare i risultati? Secondo gli autori, la ricerca non è compatibile con le ipotesi più estreme, che vedevano il facial feedback come principale meccanismo che determina le nostre emozioni. Ma vanno comunque in direzione di una versione meno estrema dell’ipotesi, e cioè che i feedback sensoriali provocati dal sorridere (o da altre espressioni legate alle emozioni) siano una delle tante componenti che vanno a comporre le nostre emozioni.

“Lo studio non è costruito per dare una risposta definitiva, anche perché spesso è difficile ottenerle in questi campi di studio – sottolinea Marozzi – ma i risultati sono estremamente solidi, e compatibili con l’ipotesi del feedback facciale. Le ricerche che verranno svolte in futuro non potranno non tenere conto dei nostri risultati”. 

A livello pratico, una maggioranza degli autori del paper ritengono che l’effetto che emerge dallo studio sia troppo limitato per poter pensare di utilizzare i sorrisi come terapia per l’umore. Per altri, il fatto che strategie simili, come ad esempio l’indicazione di sorridere allo specchio ogni mattina per almeno cinque secondi, abbiano mostrato una qualche efficacia in diverse analisi svolte negli ultimi decenni, rimane un punto a suo favore. Magari – ipotizzano nelle conclusioni dell’articolo – il piccolo effetto del feedback facciale è in qualche modo incrementale, e ripetendo gli esercizi un numero sufficiente di volte arrivi ad avere un’efficacia concreta sull’umore. Per scoprire come stanno le cose – inutile dirlo – serviranno ulteriori ricerche.

Via: Wired.it

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Credits immagine: Allef Vinicius on Unsplash