Sorvegliare gli elefanti con il Gps

Mansueto come un cane che si lascia infilare il guinzaglio per la consueta passeggiata con il padrone, il possente elefante della Malesia ripreso nel video accetta senza troppe resistenze di indossare il collare che lo renderà rintracciabile ovunque vada. Su quel cinturone, infatti, è stato installato un dispositivo Gps grazie al quale gli scienziati impegnati nel progetto quinquennale Meme (Management & Ecology of Malaysian Elephants) possono seguire gli spostamenti dei giganteschi erbivori. Per ora, a sfoggiare la tecnologica collana in formato extra large, sono solamente nove esemplari. Nei prossimi anni i ricercatori contano di arrivare a monitorare cinquanta elefanti.

Lo scopo dell’iniziativa, nata dalla collaborazione tra il distaccamento asiatico dell’Università di Nottingham e il locale Department of Wildlife and National Parks, è facilmente intuibile: studiare i comportamenti degli animali per comprendere come reagiscono alla sempre più invadente presenza umana.

Fino a un centinaio di anni fa la foresta pluviale ospitava migliaia di elefanti. Oggi, che il 50 per cento dell’habitat è stato divorato da strade, campi di grano e insediamenti abitativi, se ne contano 1500, tutti potenziali vittime di bracconieri avidi di zanne e tutti entrati di diritto nella lista rossa della Iucn, l’Unione mondiale per la conservazione della natura.

Il destino dei pachidermi è infatti strettamente legato a quello della terra che calpestano, ma vale anche il contrario: “Con la perdita degli elefanti perdiamo un elemento unico dell’ecosistema tropicale. Quando gli elefanti camminano schiacciano il suolo e hanno un impatto sulla foresta in un modo che non è paragonabile a quello di altri animali. Quando mangiano intervengono sulla struttura della vegetazione, disperdendo resti delle piante che vengono consumati da altri erbivori. Quando mangiano i frutti diperdono i semi. Se tutto ciò venisse a mancare avremo un ecosistema molto più semplificato, meno resiliente e privo della gran parte della sua biodiversità” spiega Ahisma Campos- Arceiz che guida il progetto.

Oltre a seguire, armati di radio ad alta frequenza o telefoni satellitari, i forzati traslochi dei “mega erbivori” in fuga dalle cosiddette aree di conflitto (human elephant conflict, Hec), gli scienziati del progetto Meme studiano anche il Dna e gli ormoni estratti da campioni di feci degli animali. Per combinare le informazioni biologiche a quelle logistiche, e avere così un quadro completo delle abitudini dei preziosi e insostituibili “giardinieri” della foresta pluviale tanto amata da Sandokan.

Credit immagine a Cara_VSAngel

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