Categorie: Società

Sotto il titolo, niente

“Un farmaco che sconfigge il cancro” è un titolo che fa vendere i giornali, ma poco deontologico. L’informazione medica, invece, deve essere data con precisione e prudenza, proprio per non rischiare di creare allarmismo o alimentare false speranze. A denunciare la tendenza dei giornalisti a male interpretare e mal riportare i risultati di alcune ricerche sono Lisa Schwarz e Steven Woloshin del Center for Medicine and the Media del Dartmouht Institute for Health Policy and Clinical Practice (New Hampshire, Usa) con un articolo su Journal of National Cancer Institute (Jnci). A titolo di esempio gli autori citano la copertura mediatica di due studi clinici: uno sull’olaparib (un nuovo farmaco contro il cancro), riportato sul New England Journal of Medicine, e uno sulla relazione tra consumo di alcolici e rischio di tumori, pubblicato dallo stesso Jnci.

Il primo è stato ripreso dalle principale emittenti televisive Usa; nei vari servizi, l’oloparib era definito la più importante scoperta sul cancro del decennio, senza far menzione del fatto che lo studio non è stato eseguito con un gruppo di controllo (un gruppo di pazienti che non assume il farmaco, metodo che permette di verificare quale sia l’efficacia reale del nuovo trattamento) e i buoni risultati ottenuti a livello di marker tumorale non si sono tradotti – ad oggi – in concreti benefici per il paziente. Il secondo lavoro è stato invece  ripreso dal quotidiano statunitense Washington Post in un articolo dal titolo, “Un bicchiere al giorno aumenta il rischio di cancro nelle donne”, che non riportava i margini di rischio: lo 0,6 per cento in più (portandolo dal 2 al 2,6 per cento) in un periodo di sette anni.

“La distorsione delle notizie di medicina nei media è una questione seria che ha vari ‘perché’: dall’incompetenza dei giornalisti in determinate discipline, alla loro tendenza all’eccessiva semplificazione, alla scelta di chi scrive i titoli, ‘di richiamo’ ma fuorvianti”, spiega a Galileo Lisa Schwarz. La ricercatrice però non risparmia neanche i suoi colleghi: “Gli scienziati e le istituzioni presso cui lavorano hanno tutto l’interesse a essere nominati dai media; dovrebbero invece essere sempre onesti sulla forza e sulle limitazioni dei loro studi”.

La televisione, secondo la ricercatrice, è il mezzo di comunicazione in  questo senso ‘meno serio’,  ma molta preoccupazione desta anche Internet, dove le informazioni spesso non sono sottoposte agli stessi controlli dei giornali. Entrambi i media raggiungono un gran numero di persone e amplificano l’impatto che questa cattiva informazione ha sulla vita di tutti i giorni. “Le persone che ricevono notizie così distorte possono avere due tipi di reazione: alcuni cambiano stile di vita in maniera inutile se non dannosa a causa di informazioni non corrette, altri assumono un comportamento cinico, perché la scienza e la medicina sembrano affermare oggi una cosa e domani l’esatto opposto”, continua la Schwarz.

Ma quale può essere una soluzione? La ricercatrice ha consigli per tutti. “L’obiettivo degli scienziati dovrebbe essere quello di fornire una spiegazione accurata di ciò che i loro risultati aggiungono a quanto già si conosce – spiega – e i giornalisti dovrebbero essere più scettici e informati: solo perché uno studio è pubblicato su una delle maggiori riviste del settore, non necessariamente è valido o vale la pena parlarne, anche se questo vuol dire rinunciare a un articolo di sicuro impatto. Chi legge, infine, farebbe meglio a prestare maggiore attenzione e a cercare sempre i dati, senza farsi convincere da chiacchiere e titoloni”.

Riferimento: doi:10.1093/jnci/djp409

Caterina Visco

Laureata in Scienze Biologiche, ha lavorato come web content editor per il portale medico Yahoo!Salute. Nel 2009, dopo uno stage a Internazionale, approda a Galileo, dove, oltre contribuire alla produzione dei contenuti, è community manager e coordinatrice della redazione. Scrive per diverse testate giornalistiche tra cui L'espresso, Wired, Le Scienze, Mente e Cervello, Nova - Sole 24 ore, Il Venerdì di Repubblica.

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